domenica 5 ottobre 2014

“L’Occidente si svegli ha il nemico in casa”

“L’immigrazione islamica porta a un nuovo totalitarismo”

«Il pericolo è il diffondersi in una parte della immigrazione europea demograficamente esorbitante di un antisemitismo di tipo nuovo, violento, che nasce nelle dottrine che arrivano dal vicino Oriente. È nel montare di un nuovo totalitarismo islamista che divide il mondo in credenti ed eretici, puri ed impuri, e nella paura degli intellettuali occidentali di definire le cose con il loro nome…». Georges Bensoussan, uno dei maggiori storici della Shoah, è attento osservatore di quel versante atroce dell’umanità che sembra esser passato, sotto nuove vesti, dal secolo trascorso nel subbuglio del presente. 

 

I partiti della destra xenofoba avanzano in Europa… 

«Una frangia marginale della opinione pubblica europea ha simpatie naziste, ma è un fenomeno che viene esagerato. Il vero pericolo è la nascita di un antisemitismo di tipo nuovo, violento, fisico: in gran parte legato alla congiunzione di una estrema destra antisionista come la vediamo in Francia e in Belgio, non necessariamente neonazista, e di un antisionismo molto violento di estrema sinistra non legato alla critica della politica di Israele, che è totalmente legittima, ma all’esistenza dello Stato di Israele, il che è molto diverso. Ma soprattutto c’è un terzo fattore: l’immigrazione arabo musulmana in Europa, di popolamento, estremamente numerosa, che ha completamente modificato il panorama demografico del continente». 

 

Il cuore di tenebra dunque è nei Paesi arabi… 

«In gran parte sì, nel senso che l’antigiudaismo ha assunto proporzione considerevoli dopo la nascita di Israele e soprattutto dopo la guerra dei Sei giorni. Ma quando i media occidentali non prestano attenzione a ciò che si dice nei media arabi, nelle televisioni, nelle radio, a quanto si scrive sui giornali, ma insisto soprattutto sulle televisioni, si condannano a non comprendere quanto accade in Europa: perché tutto ciò è riportato in Europa attraverso le parabole. Quando l’integrazione fallisce per una certa parte di individui, soprattutto giovani, si ha una ripresa identitaria di un islam radicale e violento». 

 

Che si spiega con ragioni economiche o sociali o affonda in una ideologia religiosa, penso al salafitismo sunnita … 

«Non è il motivo principale, perché altre minoranze sono colpite dalla disoccupazione e non diventano violente. La causa economica serve come schermo per non vedere le cause più profonde, che sono due. In primo luogo un risentimento coloniale contro la Francia. Poi, l’antisemitismo nel Maghreb era molto potente ben prima dell’avvento di Israele. E vi è ancora un’altra dimensione ed è quella del Corano. Si trascura sempre di leggere il testo in arabo, lo si legge in francese o in italiano spesso in cattive traduzioni… Vi è nel Corano un antisemitismo e un anticristianesimo molto violento e per i musulmani praticanti il Corano è parola sacra, è la parola di Dio». 

 

In Siria e in Iraq oggi, con la nascita del califfato, non stiamo assistendo alla nascita di un nuovo totalitarismo, che, dopo la razza e l’ideologia, ha trovato nella religione un pretesto per dividere il mondo in puri e impuri, da eliminare? 

«Sì. Il totalitarismo nell’Unione Sovietica divideva il mondo tra i cattivi che avevano origini borghesi e i buoni che avevano origini proletarie; quello nazista tra la buona e la cattiva razza. Quello islamista divide tra i puri e gli impuri, tra i credenti e gli eretici. Perché parlo di totalitarismo? Perché l’islam è una religione totalitaria, inglobante che non distingue tra materiale e spirituale. E poi c’è il fattore demografico. Una delle forze del totalitarismo nazista è stata la demografia, la forte demografia tedesca nell’800 e nel ’900. Il numero gioca un ruolo chiave nella diffusione delle idee. E questo vale per l’islamismo di oggi». 

 

Un pericolo maggiore che il terrorismo… 

«Il pericolo maggiore non è il totalitarismo islamista, è l’incapacità degli intellettuali occidentali di vedere il pericolo per la paura di essere tacciati di islamofobia e di razzismo». 

 

Che fare dunque? 

«La prima cosa è definire le cose per quello che sono. Più si definiranno le cose e più facilmente si risolverà il problema. In occidente invece si ha paura delle parole, si è terrorizzati da alcune parole. Per esempio dire che una parte della gioventù dell’immigrazione musulmana in Europa costituisce un potenziale pericolo, non tutta certo, una piccola parte. Ma è il cavallo di Troia che è già tra di noi». 

 

Tra i jihadisti del Califfato ci sono numerosi giovani «europei»… Il pericolo è tra noi? 

«Sì, è là. Nelle tre decapitazioni degli ostaggi l’assassino parla con un accento londinese, sono musulmani nati in Inghilterra. E si sa che il responsabile della strage di Bruxelles è stato il carceriere per molti mesi di ostaggi francesi in Siria, che li ha picchiati. Vuol dire che oggi in Europa ci sono centinaia di assassini potenziali: il pericolo è tra noi». 

 

L’attacco dell’islamismo non è per caso passato dal piano terroristico a quello militare? 

«Sì, ma i combattenti del Califfo sono 30mila, un nulla dal punto di vista militare rispetto all’Occidente; li si può distruggere in una settimana. Non siamo allo scontro Stato contro Stato, siamo nel quadro di un conflitto asimmetrico: come nel 1939 non sono le armi che mancano, è la determinazione politica di usarne. Era il senso dell’impegno di Churchill quando disse: “Voi avete voluto evitare la guerra e ora avrete la guerra e in più la viltà”. Siamo nello stesso scenario di allora». 



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