C'è stata un'epoca in cui dire multitasking faceva figo. Andava di moda. Come il minimal negli anni '90, come la rucola sulla tagliata o come il pomodoro pachino agli aperitivi.
Le aziende cercavano candidati dai profili "multitasking", e potersi fregiare del suddetto aggettivo era per tali candidati (leggi: disoccupati), un indubitabile motivo di orgoglio.
In molti cv si parla di multitasking. Ma da dove deriva questo termine?
Risale agli anni Sessanta, quando veniva utilizzato per descrivere il computer. All’epoca, il multitasking riguardava compiti multipli che condividevano alternativamente una stessa risorsa (la CPU, il cervello del computer), ma con il tempo questa sfumatura si è persa e il significato è diventato quello di compiti multipli eseguiti simultaneamente da una risorsa (una persona). Inutile dire che è stato un cambiamento fuorviante, perché persino i computer processano una sola stringa di codice alla volta: quando sono in modalità multitasking alternano velocemente un compito all’altro fino a portare a termine entrambi. Gli esseri umani effettivamente possono fare due o più cose insieme, per esempio camminare e parlare, ma come i computer non possiamo concentrarcisu due cose contemporaneamente. La nostra attenzione rimbalza da una cosa all’altra e questo provoca serie ripercussioni sia sulla nostra produttività che, quel che è peggio, sul nostro stato di salute psicofisica.
Ho scoperto tutto questo leggendo “Una cosa sola”, manuale scritto a quattro mani da Gary Keller e Jay Papasan (imprenditore nel settore immobiliare esperto di business l’uno e trainer/formatore/autore l’altro), uscito da meno di un mese per tre60 edizioni e che promette di insegnarci qualcosa di cui, ammettiamolo, tutti sentiamo un gran bisogno: definire le proprie priorità.
Non capita anche a voi di aprire Twitter e andare in ansia per la quantità di informazione disparata che compare nel newsfeed?
Fino a non molti anni fa c'erano i quotidiani e c'erano i tg, al massimo la radio e i settimanali di approfondimento.
Oggi, le informazioni ci sommergono. Letteralmente: ci perseguitano.
E al contempo la capacità di approfondire, di concentrarsi e di selezionare diminuisce in maniera inversamente proporzionale alla mole di informazione che invade le nostre giornate.
Io stessa prima ero una lettrice vorace, adesso accumulo libri sul comodino e dopo trenta pagine cambio. Ok, è vero che quando il proposito è leggere La Recherche di Proust ci si può anche sentire giustificati ad alzare bandiera bianca, ma il punto è un altro: siamo sempre più incapaci di concentrarci, nel lavoro come nella vita.
Prima, almeno il treno era uno spazio fuori dal tempo in cui riuscivo a leggere: adesso, questa terrificante incapacità di concentrarmi mi perseguita anche lì.
Dovrei provare a fare letture diverse, forse?
E' che non accetto la sconfitta, tutto qua.
Siamo sempre più connessi e più schizofrenici: e non dite di no, perché lo so che non sono la sola.
Abbiamo in mano tutto ma non possediamo niente, sappiamo un po' di tutto ma non approfondiamo niente, o comunque poco. L'agenda setting adesso la fanno i social network, non a caso Facebook sta per lanciare il suo progetto legato alle news, Paper.
La verità è che il multitasking è una grandissima bufala. Un po' come la laurea in scienze della comunicazione: una di quelle cose che hanno fatto moderatamente figo per un po', per poi diventare inutili o peggio obsolete.
Continuando come mosche impazzite a stare dietro a tutto, a voler sapere di tutto, a ostinarci ad infilare sempre più cose nelle nostre giornate sempre più piene, compilando e spuntando liste, riusciremo solo a rimanere incastrati come il criceto nella ruota, avvolgendoci su noi stessi e rincorrendo il tempo.
E' giunto il momento di fermarsi.
Sapete perché non abbiamo mai tempo per fare tutto?
Non perché il tempo sia poco, semplicemente perché siamo noi che vogliamo fare troppo.
Semplice, banale. Vero.
Solo recuperando l'essenziale potremo sperare di arrivare da qualche parte e di raggiungere una qualche soddisfazione, la nostra personalissima definizione di successo.
E con recuperare l'essenziale non intendo andare in ritiro spirituale, ma semplicemente fare quello che giorno dopo giorno ci è realmente utile, che ci fa stare bene, sentire realizzati e che ci fa fare un passo avanti nel nostro personale progresso.
Gary Keller e Jay Papasan ci danno qualche dritta al riguardo:
- Riducetevi: non dovete concentrarvi sulle cose da fare, bensì sull’essere produttivi. Fate in modo che quello che conta davvero guidi la vostra giornata.
- Siate estremi: una volta individuato quello che conta davvero, continuate a chiedervi che cosa importa di più, finchè vi resterà una cosa soltanto. Tale elemento prenderà il primo posto nella vostra lista del successo.
- Dite di no a qualunque altra cosa potreste fare finchè non avrete terminato il lavoro più importante.
- Non fatevi intrappolare dal gioco della spunta: non possiamo cadere vittima del principio che tutto va fatto. Non tutte le cose hanno la stessa importanza e il successo si basa sul fare ciò che conta di più.
Silvia Novelli - Linkiesta ( http://www.linkiesta.it/blogs/nei-panni-di-una-rossa/c-era-una-volta-il-multitasking)
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