Alimentare e farmaceutico hanno già il segno più nei primi sei mesi dell’anno. Il turismo sta archiviando un’estate ancora in passivo ma di poco, e comunque l’atteso tracollo non c’è stato, anzi. La ripresa sta arrivando e anche se tutti, economisti, manager e imprenditori sottolineano la prudenza, la luce in fondo al tunnel si sta facendo sempre più forte. Gli indicatori che misurano il grado di fiducia di famiglie e imprese volgono in su, gli ordini stanno riprendendo, l’export continua a tirare, il saldo commerciale positivo si consolida anche con il risveglio delle importazioni e Prometeia ha appena firmato una previsione per il terzo trimestre che si chiuderà a fine mese con un Pil che torna in positivo dopo 43 mesi.
Il primo soffio di primavera, dopo anni di gelo, è arrivato da due settori anticiclici come alimentari e farmaceutici, le cui imprese, nel primo semestre di quest’anno hanno registrato un aumento del fatturato, contro una media dell’industria che rimane pesantemente negativa. A inizio estate la timida ripresa europea ha fatto da traino ad un miglioramento di comparti che avevano subito un crollo l’anno scorso: elettronica, elettrodomestici e, in parte, i mobili. Qualche segnale di assestamento arriva anche dall’auto, la cui caduta di immatricolazioni, in Europa come in Italia, sta rallentando, ma soprattutto dai beni intermedi che sono settori che
normalmente anticipano l’avvio della ripresa economica. Nessuno sa se si tratti di una rondine che volerà decisa, o di semplici segnali di un’inversione di tendenza: “Sono settori che fanno da pivot alla ripresa dice Prometeia - ma anche molto sensibili ai bassi livelli di magazzino raggiunti e alla necessità di ricostituire le scorte. Ma i timidi miglioramenti nei settori di beni di investimento come meccanica ed elettrotecnica fanno ben sperare”. A livello di dati generali c’è però una certezza acquisita: quel minimo, quel maledetto pavimento che tutti aspettavano da quasi due anni, è stato toccato tra maggio e giugno di quest’anno. E’ qui che sembra finire una delle cadute dell’economia più dolorose del secondo dopoguerra: una recessione che non ha eguali nemmeno in quelle che seguirono lo shock petrolifero. Dei settanta mesi passati dall’agosto 2007, 43 sono in contrazione 26 in crescita. Il Pil perso è pari al 4,3 tra il 2011 e il 2013, che si somma ai 7,2 del 2008-2009, quando nelle crisi petrolifere e valutarie del 1992-93 e del 1974-75 si oscillò tra l’1,5 e il 3,8. La fase di espansione, durata poco più di due anni, ha visto una crescita modesta, al contrario di quanto avveniva negli anni passati. Si capisce quindi perché ogni stormir di fronde nei dati viene accolto con liberazione, quasi fosse la fine di un incubo. Una produzione industriale che ricomincia ad alzare la testa, un clima di fiducia tra i consumatori e le imprese che non è più così cupo. Un risveglio della domanda di mutui da parte delle famiglie. Una qualche stabilità finanziaria che fa presagire un allentamento della pressione sul credito.
E infine i dati dell’andamento del Pil che mostrano una discesa che va rallentando, tanto che Prometeia, nella sua ultima previsione stilata venerdì scorso, prevede un terzo trimestre già positivo e una discesa del Pil per l’intero 2013 che si fermerà a meno 1,6%. L’ultimo rapporto di Ref Ricerche spalma sul 2013 un miglioramento di 0,3 punti nel Pil per quest’anno (-1,6% contro un -1,9% prima previsto) e stima un 1% di aumento per l’anno prossimo (anziché lo 0,8%). Sono dati misurati al decimo, sottoposti a mille distinguo come ad esempio il fatto che l’Istat ha cambiato metodi di rilevazione del clima di fiducia di imprese e consumatori e gli indici hanno avuto un improvviso balzo - e che vengono commentati a corrente alternata tra chi plaude all’arrivo della prossima ripresa e che chi sottolinea il modesto presente: «Per ora è migliorata solo la derivata seconda della funzione, cioè stiamo scendendo… più piano» commenta Giacomo Vaciago presidente di Ref Ricerche che pure nella sua nota congiunturale prospetta una fine anno più positiva e la stabilizzazione della caduta dei beni di consumo durevoli a partire dall’auto, segno che ormai si è toccato il fondo e anche qui. A trainare il miglioramento produttivo sono stati due fattori. Da un lato la ricostituzione delle scorte, scese a livelli bassissimi, e che è stata spinta dalla stabilizzazione dei prezzi delle materie prime; dall’altro la vitalità, ormai acquisita, delle nostre esportazioni. L’export italiano non ha mai smesso di crescere in questi anni riuscendo a recuperare in valore i livelli di vendite del 2007. Tra il 2011 e il 2012 l’Italia ha fatto meglio dei concorrenti europei, nei primi mesi del 2013 i risultati sono migliori di quelli di Francia e Germania che hanno avuto una flessione del 3% dei valori esportati. «Abbiamo guadagnato quote di mercato nell’alimentare, nella farmaceutica che, grazie al confezionamento, finisce per produrre per il mercato europeo, nei beni di largo consumo come la detergenza, in cui l’Italia è un hub mondiale» dice Andrea Dossena di Prometeia. «Certo l’esportazione fa miracoli, la Russia non ha mai smesso di comprare beni come le calzature, i Bric si stanno riprendendo, la nostra meccanica va meglio e si ricomincia ad esportare in Germania. Il turismo non va male: l’Italia è il primo Paese europeo per pernottamenti di russi e cinesi. Ma la domanda interna è fiacca, non ce la fa a trainare la nostra capacità produttiva», dice Marco Fortis di Fondazione Edison. E non solo per motivi di quantità: «Siamo di fronte ad un cambiamento di lungo termine: si comprano pochi beni tradizionali, scarpe, vestiti. Le classi giovani consumano per lo più elettronica e informatica. La popolazione invecchia e le classi più avanzate più che beni chiedono servizi. Insomma la ripresa rischia per lo più di aumentare le importazioni e alimentare il commercio più che il nostro sistema produttivo». Il segno che la domanda interna è ancora debolissima sta nel miglioramento netto della nostra bilancia commerciale dovuto, oltre che all’aumento dell’export, anche alla sostanziale stabilità delle importazioni. Ma una ripresa basata solo su di esse non sembra essere sufficiente: «Neanche al Nordest dove molte aziende vivono di mercato interno e si sta ancora di più polarizzando il sistema produttivo», dice Daniele Marini, direttore della Fondazione Nordest. «Rischia di essere troppo lenta e allagare la spaccatura a metà del Paese tra Nord e Sud», dice Innocenzo Cipolletta. Si scruta, nella speranza di un risveglio, quel mercato della casa e quel settore delle costruzioni che, con la sua caduta, aggravata dalla crisi creditizia, ha trascinato nel baratro anche tutto un settore produttivo determinante per l’industria italiana come quello dell’arredo: tra il 2007 e il 2012 dal legno agli elettrodomestici, dai mobili ai serbatoi si registrano perdite di fatturato che oscillano tra il 15 e il 25%.
Le esportazioni hanno in qualche modo aiutato a evitare il peggio, i provvedimenti di agevolazione del governo si spera diano risultati. «La fase critica dell’immobiliare sembra essere alle spalle - dice Luca Dondi di Nomisma - c’è un’aspettativa di ripresa timida sulle compravendite, dovuta alla stabilizzazione del credito e alla discesa degli spread, che ha fatto salire la domanda di mutui. Ma sui prezzi il recupero sarà lentissimo così come sul settore delle costruzioni sul quale pesa un’offerta enorme di invenduto. Se il credito comincerà a riaffluire, si potrà sperare nel completamento di alcuni cantieri che la crisi ha bloccato». Sulla fine di una recessione che ha scremato duramente il sistema produttivo e che pone interrogativi sul suo futuro, dato che per ora sembra sopravvivere solo lo zoccolo duro di chi è riuscito a vincere nel mercato globale, pesano le incertezze dei prossimi mesi. Un credito ancora avaro, colpito come è dalle difficoltà delle banche a smaltire il cumulo di sofferenze, la fragilità di una situazione internazionale e di un’Europa che non ha certo le vele spiegate nell’uscire dalla crisi e in cui ci sono Paesi come Francia, Spagna e anche Olanda che devono ancora riaggiustare i conti. E sull’Italia che a fatica tenta di incassare il dividendo della stretta feroce degli anni scorsi per riaggiustare i conti, pesa come un macigno la precarietà della situazione politica che potrebbe far saltare quelle poche certezze cui era appesa la fine dell’incubo. Nella tabella qui sopra l’andamento dei principali settori industriali del Made in Italy nello studio di Prometeia -Intesa Sanpaolo Nei quattro grafici qui a destra, la svolta degli indicatori sulle attese di consumatori e imprese: il clima di fiducia inizia la risalita
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