venerdì 26 aprile 2013

Scelgo il lavoro che inizia a 50 anni

RetirementJobs.com, fondato da Tim Driver nel 2005, è uno dei siti di collocamento professionale più in crescita negli ultimi anni. Retirement Jobs? Letteralmente, vuol dire posti di lavoro per pensionati. “Sembra un ossimoro”, osserva l'inchiesta che Usa Today dedica al fenomeno, “e invece un numero crescente di americani decidono di continuare a lavorare in quelli che dovrebbero essere gli anni della pensione”.
Continuare, oppure ricominciare. Il New York Times ha già coniato un neologismo: “Un-retire”. Come dire “spensionarsi”: ritirarsi dalla pensione. Per intraprendere una seconda vita professionale dopo i 65, magari i 70 anni. La tendenza è così diffusa che molte istituzioni devono adattarsi, accettando una vera e propria rivoluzione culturale. È il caso delle università. I corsi per la terza età esistono da più di mezzo secolo, ma ora si reinventano: non servono più a “occupare il tempo libero della pensione”, al contrario sono veri corsi di qualificazione e addestramento professionale.

L’American Association of Community Colleges, che riunisce le università cittadine, lanciò già nel 2008 un programma chiamato Plus 50 Initiative e rivolto appunto agli ultracinquantenni. «All’inizio — racconta la direttrice May Sue Vickers — offrivamo un ampio ventaglio di corsi che andavano dall’arricchimento culturale delle persone, all’addestramento per il volontariato. Ma ci siamo dovuti concentrare soprattutto sull’addestramentoprofessionale, è lì che tira la domanda».
Vista la crescita rapida di questo nuovo mercato del lavoro, Usa Today lancia la sua inchiesta col titolo “Consigli pratici per candidati all’assunzione coi capelli grigi”. In quanto al New York Times, ha già inaugurato un blog sul suo sito che s’intitola Booming e strizza l’occhiolino ai baby-boomer: è la più popolosa generazione della storia, 78 milioni di americani nati fra il 1945 e il 1965, va dalla fascia dei Bill e Hillary Clinton (vicini all’età pensionabile) a quella dei Barack e Michelle Obama. Sono loro i protagonisti di questo sconvolgimento nell’approccio alle età umane.

L’altra faccia della medaglia, la descrive il sociologo Sudhir Venkatesh della Columbia University di New York, autore di un vasto studio sull’economia sommersa. Per i giovani americani come per i loro coetanei europei, il precariato è spesso la prima ed unica introduzione al mondo del lavoro. “C’è una nuova generazione — sostiene Venkatesh — sempre più abituata allo status di freelance”. Dunque le frontiere del mercato del lavoro diventano sempre più evanescenti, fluide. E con esse, si confondono e si attenuano quei ruoli rigidi che corrispondevano ad altrettante età della vita. Prima studenti. Poi lavoratori. Infine pensionati. Queste erano le scansioni tradizionali, in un mondo che sta scomparendo. Adesso le tappe della vita non sono più così semplificate. E certo non solo per scelta degli interessati. Nella punta estrema del privilegio (peraltro meritato) c’è
un caso come quello di Ray Kurzweil, che per la prima volta in vita sua è stato assunto... al compimento dei 65 anni. E per di più il suo datore di lavoro è Google, l’azienda della Silicon Valley che va orgogliosa per la giovanissima età media dei suoi dipendenti. Ma Kurzweil, che per tutta la vita non era mai stato un dipendente bensì un freelance, inventore indipendente, creatore seriale di imprese startup, è un talento fuori dal comune. Poi ci sono altri privilegiati come il giornalista inglese di 33 anni che ha deciso di andare subito in pensione, rinviando a un’altra età il rientro nel mondo del lavoro. Bisogna avere i mezzi per farlo. Ma può diventare anche una scelta obbligata: con la disoccupazione giovanile che dilaga in Europa, ed è a livelli storicamente elevati qui negli Stati Uniti, c’è chi reagisce investendo di più nel periodo dello studio. Nella speranza che una ripresa arrivi più in là negli anni, e che la si possa sfruttare meglio grazie alla formazione aggiuntiva. Ivan Illich, il grande filosofo austriaco scomparso nel 2002, già quarant’anni fa voleva sconvolgere le istituzioni scolastiche, abolirne ogni rigidità, allungare all’infinito le opportunità di una formazione permanente, “à la carte”.

Sull’altro versante generazionale, anche dietro i 65enni che tornano al lavoro c’è una larga fascia di disagio sociale. Marcie Pitt, direttrice dello Sloan Center on Aging & Work (uno dei tanti centri studi americani che si occupano delle nuove frontiere della longevità e le incrociano con le trasformazioni professionali), evoca la transizione dolorosa usando due titoli di film. Il primo, “On Golden Pond”, un classico che mise in scena Henry e Jane Fonda, ricorda i tempi in cui la pensione garantiva un tenore di vita agiato: a pesca su un lago dorato. Il titolo dei nostri tempi invece è
“On Thin Ice”, sul ghiaccio sottile. Il crac di Wall Street del 2008 ha inflitto danni pesanti ai fondi pensione. Chi ha risparmi investiti in buoni del Tesoro oggi riceve rendimenti irrisori. Dunque c’è una parte dei baby-boomer americani che sposta sempre più in là l’età della pensione semplicemente perché non può permettersi di lasciare il lavoro. Non è tutta qui però, la spiegazione. Un sondaggio citato dal Center for Retirement Research al Boston College rivela che il 43% dei baby-boomer americani “non vede l’ora” di andare in pensione, ma il 41% “non ne ha voglia”.

Una cosa distingue soprattutto l’America: qui non è irrealistico pensare di rientrare nel mercato del lavoro dopo averlo abbandonato per il pensionamento. Il successo di un sito come RetirementJobs. com è solo uno dei tanti segnali. «Nel lungo termine — dice fiducioso il suo chief executive Driver — le tendenze demografiche giocano in nostro favore, perché l’offerta di giovani sul mercato non sarà più sufficiente a soddisfare la domanda». La più potente lobby d’America, l’Aarp (che nacque come l’associazione dei pensionati ma oggi organizza una vasta schiera che vai dai 50 anni in su) ha stilato una mappa dei settori di attività più accoglienti verso chi ha i capelli grigio-bianchi. In testa ci sono la distribuzione, la scuola, la sanità. Sono tutti settori dei servizi, che hanno due caratteristiche: si prestano ad orari di lavoro flessibili; e attribuiscono importanza alla qualità del rapporto umano, del contatto con l’utente. La Driver sostiene che un settore professionale del tutto libero dai pregiudizi contro i lavoratori anziani è... l’assistenza agli anziani. In quella vasta area in espansione, che va dalle tradizionali case di riposo all’assistenza domiciliare, si scopre che una risorsa importante è la pazienza, la comprensione. I lavoratori della “seconda età adulta”, quella che si apre verso i 60 anni, sono ricercati per occuparsi della terza e quarta età. Ma anche verso i più giovani, le “pantere grigie” hanno un ruolo sociale che si traduce in opportunità professionali. Su Usa Today fa notizia Dory Brinker, una insegnante in pensione che vive a Brewster nel Massachusetts. Nel corso della sua vita lavorativa è stata maestra, ha creato anche una sua scuola per formare infermieri, e ha avuto tre figli.

Oggi segue un corso universitario al Cape Cod Community College, per imparare ad assistere malati di alcolismo e tossicodipendenti. Ha già trovato un lavoro a parttime in un centro di accoglienza per le vittime dell’alcolismo e altre dipendenze. Sui banchi di università nessuno trova strano che Dory Brinker frequenti i corsi insieme a studenti che hanno 50 anni meno di lei. Per la Brinker il momento del reingresso al lavoro è scoccato con il settantesimo compleanno. Anzi: il momento di “un-retire”, di uscire dal pensionamento. «Questo fenomeno è ancora agli inizi — osserva la Driver — ma più si diffonde, più diventa culturalmente accettabile il ritorno dei capelli bianchi nei nostri luoghi di lavoro».

Federico Rampini - R2 Republica - L'inchiesta

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