Un elogio del biglietto da visita nell’era dei social network potrebbe sembrare un de profundis. Vecchio, anzi antico — secondo alcuni risale ai cerimoniali cinesi dei mandarini — per definizione un po’ stropicciato vista la materia prima cartacea, a dirla tutta anche con l’impertinente vizio di non esserci mai quando veramente lo vorresti avere con te, come può il caro biglietto da visita competere con le connessioni via Internet nei quattro angoli della Terra che si calcolano nella nuova unità di misura googliana di 0,18 secondi?
Valga una premessa: non è un articolo mosso da intenti provocatori o per sentimentali della socializzazione che fu. Il punto è che anche oggi — nonostante Facebook, Google+, LinkedIn, Twitter e dintorni — sopravvive più di un motivo per scambiarsi quel cartoncino bristol nato nella sua versione moderna, secondo le cronache, nel Settecento parigino.
1) Partiamo da un’analisi empirica. In teoria dovrebbe essere un business morto e sepolto. Chi può volere ancora un bigliettino da visita nell’era della digitalizzazione di massa, dei tagli di costi nelle aziende e dei motori di ricerca sul web che ti trovano tutto (anche quello a cui avevamo tentato di dare sepoltura) nei suddetti 18 centesimi? E invece datevi uno sguardo intorno: quel rettangolino di carta rimane un cerimoniale che non ne vuole sapere di estinguersi e diventare un vecchio ricordo da nonni. E non dipende dal non essere abbastanza alla moda o al passo con i tempi. Anche nel cuore della Tech City londinese tra startupper di primo pelo e consumati imprenditori seriali, il gesto non cambia. Ho incontrato diverse persone nel Google Campus in pieno centro a Londra e tutti hanno messo le mani nel portafoglio o nella borsetta alla ricerca di un inefficiente, rassicurante, elementare biglietto da visita. È un rituale duro a morire alla faccia di Mr Social Network, Zuckerberg. Direte: un caso. E invece anche agli eventi super digitalizzati del TechCrunch è tutto uno scambiarsi biglietti da visita.
2) Come sempre accade c’è anche un motivo politically incorrect che nessuno confermerà mai a microfoni accesi: certo, in teoria potrei anche sfoderare il mio smartphone davanti a una persona chiedere il suo account su Facebook, Pinterest, Linkedin o Twitter e connettermi in tempo reale. Ma come raccontava un film di Clint Eastwood di qualche anno fa non viviamo «In un mondo perfetto». E se non voglio far vedere a mezzo mondo che ci stiamo incontrando? E se non trovo interessante connettermi con te come faccio a dirtelo in faccia? Un biglietto ha un vantaggio ineguagliabile: appena dietro l’angolo lo posso gettare nel primo cestino senza che nessuno lo venga mai a sapere a meno che non ci mettiate un Gps dentro. Se invece ti «defollowo» dopo appena 24 ore lo vedranno tutti e come minimo avrò un nemico in più. Il defollowing è un preciso gesto sociale e come tale ha le sue conseguenze. L’amara verità è che una connessione, ahinoi, è per sempre. Un biglietto da visita no e può fare la brutta fine di una sciocca frase trovata dentro un Bacio Perugina.
3) Un video che spopolava qualche anno fa su YouTube presentava una moderna tecnologia che ha delle batterie infinite, è a impatto zero, non ha bisogno di noiosi caricatori e non è retroilluminato. Il libro di carta… Bene, è ora di presentarvi una moderna tecnologia con eguali vantaggi: il biglietto da visita.
4) In ogni caso se state pensando che il fan del biglietto da visita sia una specie in estinzione sappiate che anche a livello industriale è un caso di simbiosi tra gli atomi in (apparente) estinzione della carta e processi sempre più digitalizzati. Prendiamo una start up che si chiama Moo, supportata dall’organizzazione di promozione pubblica del sindaco di Londra, London&Partners (impariamo). Moo è una macchina da guerra che sta spopolando sul web. Vado a guardare nel cesto delle spedizioni: i pacchetti di business card personalizzati dai clienti davanti al proprio computer o tablet sono in partenza per Russia, Olanda, Francia, Italia. Oltre 3 mila spedizioni al giorno. Sette giorni su sette. Oltre un milione di invii all’anno anche a soli dieci pounds fanno 10 milioni di sterline di fatturato. Mica male per una decina di ragazzi (ne preparano anche una versione con un banale smart tag che fa partire un filmato, lo chiamano il biglietto a 3 dimensioni).
5) La business card, come si chiama in inglese, è perfettamente in linea con la nuova economia dei «makers» (leggere Chris Anderson) secondo cui dopo l’ubriacatura del digitale al 100% stiamo scoprendo che la nostra vita continua nel mondo fatto di atomi e anzi ne stiamo riscoprendo i sapori manuali.
6 e ultimo) Secondo Wikipedia ogni persona che si recava a visitare un mandarino si annunciava con una striscia di carta, sulla quale erano riportati il suo nome e gli eventuali attributi e titoli. Pericle faceva precedere le sue visite alla bella Aspasia da un dono, al quale univa una striscia di papiro sulla quale era vergato solo il suo nome. Il biglietto da visita moderno compare dalla Francia in Italia nel 1730 ed è ricordato in una commedia di Goldoni, «Il Cavalier Giocondo» (1755).
E secondo voi, dopo aver fatto tutta questa strada, scomparivano così con pochi colpi di bit?
Ps: Visto che li dobbiamo ancora utilizzare facciamolo bene. Ecco qualche consiglio: scrivete il cellulare a penna sul retro del biglietto, fa sentire importante chi lo riceve anche se probabilmente il vostro cellulare è già su Google… Non usate l’inchiostro dorato in stile Emirati Arabi Uniti. È come portare il Rolex d’oro… vedete un po’ voi. Non indugiate nei titoli di studio e simili prima del cognome: Dott., Cav., Avv. (meno che mai Rag.). Infine, scegliete un cartoncino bristol classico: un biglietto da visita su carta povera è come un invito in un motel sull’autostrada. Voi ci andreste mai?
Massimo Sideri - @massimosideri - La 27a ora - Corriere della Sera
Nessun commento:
Posta un commento