venerdì 28 dicembre 2012

Socrate in cashmere

Ad ascoltare Brunello Cucinelli parlare di sé e della sua azienda, si resta storditi dalla mole di citazioni che punteggiano ogni argomento. L'imprenditore del cashmere più chic del mondo dichiara impavidamente di camminare nel solco tracciato dai grandi uomini del passato. Come Platone intende «rispettare sempre le regole», come Alessandro vuole muoversi «verso nuovi confini», come Adriano si sente «responsabile delle bellezze del mondo», come San Benedetto cerca di essere «esigente maestro e amabile padre», come Lorenzo il Magnifico propone l'idea che «lavorare con le mani è da grandi artisti»...

Ma a visitare Solomeo, il piccolo borgo medievale vicino a Perugia che Cucinelli ha quasi interamente acquistato e dove ha insediato la sua casa, la sua impresa, gli uffici, i laboratori, la show room, il ristorante, il teatro (dove ha appena ospitato Matteo Renzi), l'accademia, la biblioteca, si finisce per credere che questo imprenditore-filosofo vada realizzando davvero, con i mezzi e i modi del XXI secolo, una sua particolare utopia. Reduce dalle acclamate sfilate di Milano moda, accompagnato da clamorosi exploit di Borsa e dagli articoli celebrativi dei più importanti giornali del mondo (il 'New Yorker' gli ha recentemente dedicato dieci pagine), Cucinelli non risparmia energie per divulgare la sua formula di capitalismo dal volto umano.
In tempo di crisi globale lei moltiplica traguardi imprenditoriali e successi di immagine. Qual è il suo segreto?
«Cercare di realizzare un profitto garbato, vale a dire fare impresa recando il minor danno possibile all'umanità».
Come si fa?
«Restituendo dignità morale ed economica al lavoro. Non sono parole al vento, ma criteri precisi. Io divido i profitti in quattro parti: la prima resta all'impresa, la seconda va alla mia famiglia, la terza alle persone che lavorano con me, la quarta è destinata ad abbellire il mondo, sia aiutando chi è in difficoltà, sia edificando una chiesa o un teatro».

E la sua personale ambizione? Non si arriva così in alto senza metterla in campo.
«Va considerato che io non mi sento proprietario di quanto ho costruito, ma un semplice custode. Ho soprattutto cercato di edificare qualcosa di speciale in un ambiente umano ed esteticamente alto. Qui non si timbra il cartellino e ognuno distribuisce l'orario di lavoro come preferisce. A pranzo si va a mangiare nella propria casa o nel nostro ristorante con tavola apparecchiata e piatti caldi. Alla sera, alle sei, si stacca, perché voglio che tutti tornino in famiglia e abbiano il tempo di ristorare l'anima con i propri affetti».
Sembra un falansterio senza regole.

«Tutt'altro. Le regole sono benedettine, molto rigorose e valgono per tutti, me compreso. Per essere credibili bisogna essere veri e, come Giulio Cesare, 'dormire nello stesso tipo di letto dei soldati'. Una volta la vita di un datore di lavoro era inaccessibile e misteriosa, oggi non più. E' per questo che ho deciso che ogni giovane che viene a lavorare il nostro cashmere sappia tutto di me e della mia famiglia».
E come comincia la sua storia?
«Tenendo dritto un aratro».
E' una metafora della tenuta morale?
«Ma è stata anche la realtà della mia infanzia. Fino a 15 anni ho fatto il contadino ed ero il più bravo della famiglia a fare solchi dritti perché a differenza di tutti non seguivo la coppia di vacche, ma la trainavo dal davanti. Ho continuato con lo stesso metodo».
Ha sofferto la povertà?
«No, nella nostra grande famiglia, composta da 27 persone, tra nonni, zii e cugini, non c'era bisogno di molto. Vivevamo della nostra parte di raccolto, perché la metà andava al padrone, e seguivamo il ritmo delle stagioni. Lì, nella vita contadina, ho imparato a emozionarmi per 'il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me'. Più tardi ho letto Kant e ho capito il valore universale di quel sentimento. Ma anche sentimenti meno alti mi sono stati di aiuto».
Quali?
«L'umiliazione, ad esempio. L'ho vista negli occhi lucidi di mio padre quando lasciò la terra per fare l'operaio: il sogno di una vita. Lavorava duro e bene, scoprì però che la sua dignità poteva essere calpestata da un rimprovero volgare. Se dai del coglione a un contadino che non ha studiato, lo uccidi».

Lei sta dicendo che non ha ritenuto emancipatorio il passaggio dall'agricoltura all'industria e ha cercato una sintesi?
«Di più, sono voluto tornare indietro. Mi sono ispirato al babbo e mi sono chiesto: di che ha bisogno l'uomo forse anche prima del pane? La risposta è: rispetto e dignità».
Cucinelli, lei oggi, a 59 anni, ha un'impresa da 280 milioni di ricavo. Ci sarà stato anche dell'altro.
«Intanto, una giovinezza oziosa al bar: la mia grande scuola di vita, il mio ateneo. Ho passato anni a discutere fino a notte fonda di teologia, religione, donne, economia e soprattutto politica.

C'erano tante persone diverse, dall'industriale, al notaio, il calzolaio, la prostituta che arrivava a fine lavoro. In piccolo riproducevamo Eraclito e l'importanza di Polemos. Poi, un giorno, a 25 anni, ho avuto una folgorazione».
Che cosa ha pensato?
«Semplicemente di colorare il cashmere, che fino ad allora era stato solo maschile e in tinte neutre. Frequentavo il piccolo negozio di abbigliamento della mia fidanzata, che poco dopo sarebbe diventata mia moglie, e avevo notato il successo dei pullover Benetton di shetland colorato. Cominciai a produrre poche decine di pezzi e a venderli in Trentino Alto Adige perché lì c'erano gli unici che pagavano a trenta giorni. Sono ancora miei clienti».

Ora però è il re indiscusso del lusso. Non avverte uno stridore tra i suoi principi etici e i prezzi, inavvicinabili per un comune mortale, dei suoi prodotti?
«No, perché è stata una scelta. Le cose belle costano. Se lei vuole un buonissimo champagne, è inutile nasconderselo, deve comprarlo francese; se vuole un bellissimo orologio, lo prende svizzero. C'è un mondo intero che chiede prodotti di lusso italiani e io sostengo la creatività e la manualità italiana che, come è noto, costa moltissimo. Semmai il problema etico si pone con un vestito che costa troppo poco».
Perché?
«Perché lì c'è sfruttamento, dolore. La differenza non è tra prodotti di lusso ed economici, ma se è stato prodotto recando o meno danno all'uomo. Giorni fa mia figlia ventenne mi ha emozionato dicendomi: 'A Milano, in un posto costoso, ho visto un vestito a 18 euro. Quanto gli avranno dato alla persona che lo ha cucito?'».
Lei quanto dà?
«Almeno il 20 per cento più della media. E' proprio il mercato del lusso che me lo permette. Ma il problema non è tanto il salario, quanto la difficoltà di trovare giovani che si appassionino davvero a un lavoro fatto di alta manualità. Immagini una discoteca, con un ragazzo che chiede a una coetanea: 'Che mestiere fai?'. Lei non confesserà mai che fa la sarta, magari inventerà di stare in un call center, perché si vergogna di dire che fa un lavoro con le mani. Questa è la verità. Noi, anche come Paese, dobbiamo ridare dignità al lavoro».

Ha mai pensato di farlo occupandosi di politica?
«Mai, non fa per me. La penso come Socrate che dice: 'Ho conosciuto un poeta. Si è messo in politica e ha rovinato la poesia e la politica'. Ma continuo a leggere i testi che contano. Recentemente ho ripreso in mano 'La storia mi assolverà' di Fidel Castro e l'ho letto a voce alta a mia figlia e due sue amiche ventenni. Le ho commosse. Inoltre discuto spesso di politica nei cenacoli che organizzo con gli amici di sempre e, da vecchio socialista, riesco ancora ad emozionarni a proposte di vero rinnovamento».
Ne sa indicare qualcuna?
«A suo tempo rimasi abbagliato dal discorso su 'La bella politica' di Veltroni, per il garbo con cui la presentava. Alternava due minuti in cui parlava lui con due minuti di Socrate, Platone, Luther King, Charlie Chaplin, Sacco e Vanzetti. A Natale di quell'anno ho ordinato 800 copie del Dvd e le ho donate a tutti i dipendenti».

Lo rifarebbe?
«Oggi è tutto diverso. Non c'è più una bussola. Io e i miei amici, di destra e di sinistra, aspettiamo solo che si presenti un uomo credibile, uno come Obama, che è un genio dell'umanità. Ultimamente gli ho fatto fare un busto in marmo e l'ho messo nel mio pantheon, tra Federico II e Costantino».
Ora guardi insieme a noi il futuro. Vede un'uscita dalla crisi?
«E' un momento difficile dal punto di vista economico, civile e morale, ma in qualche maniera stiamo riprogettando l'umanità. Sono arrivati popoli nuovi che stanno ridisegnando il mondo. Sarà migliore se riusciremo a governarlo non più solo con la mente, ma anche con il cuore. E io imploro, come Erasmo nel 530 quando vide i mercanti che riportavano patate e mais dall'America: 'Oh signore, fammi vivere altri vent'anni perché sta arrivando il secolo d'oro'».

Stefania Rossini - L'Espresso

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