Il brano che segue è un estratto dell'intervista realizzata da Andrea Scazzola a Nino Andreatta per la trasmissione radiofonica Lo specchio del cielo, autoritratti segreti prima di un altro lunedì, e trasmessa da RadioDue il 14 giugno 1992. La versione integrale è pubblicata nel prossimo numero della rivista Arel.
Professor Andreatta, so che nella sua decisione di occuparsi di economia ha avuto un certo peso un episodio dell'infanzia legato all'attività di suo padre, banchiere, a Trento. È così?
Sì, è così. La mia infanzia è legata a epoche difficili, sia sul piano della politica, della pace e della guerra, sia sul piano delle vicende economiche. L'episodio al quale lei si riferisce è forse la prima immagine vivida nella mia memoria ed è accaduto all'inizio del 1933. In tutto il mondo c'era una crisi bancaria, migliaia di banche fallivano. La banca che dirigeva mio padre si trovava nella piazza centrale della mia città e la mia famiglia abitava nell'ultimo piano del palazzo. Anche quella banca ebbe difficoltà e, esaurita la liquidità, chiuse gli sportelli. Si formò una lunga fila di depositanti che speravano di poter cambiare in contante i loro depositi. Fui mandato a casa dei nonni nel timore che, come era accaduto in altre parti del mondo, la rabbia dei clienti delusi potesse provocare tentativi di invasione, o magari di incendio del palazzo (…)
Dopo l'Università cattolica lei è andato a studiare in Inghilterra, a Cambridge, tempio dell'economia keynesiana. Qual è la differenza che l'ha maggiormente colpita tra il mondo anglosassone e la società italiana?
Le grandi università inglesi creano un mondo fittizio, un mondo con un forte senso di appartenenza, dove il rituale è importante, dove la concorrenza - data anche la presenza di una facoltà numerosa - è molto forte. Questo meraviglioso isolamento accademico e contemporaneamente questa attenzione, senza troppi rapporti con la politica del paese in senso pratico, ma invece presente nelle discussioni, negli schemi mentali della gente, mi provocarono anche un lancinante senso della rottura della sintesi tra la vita di ogni giorno e l'esperienza religiosa.(…)
Tornato in Italia, ha vinto la cattedra universitaria e forse allora non pensava alla politica. Come si è sviluppato negli anni il suo rapporto con la politica?
C'era stato questo forte accostamento giovanile alla politica e poi, di fronte allo sfascio pratico dell'esperienza dossettiana, un rientro, un abbandono. Ma prima della cattedra ci fu un lungo anno di lavoro in India. Era l'anno in cui mi sposai, andai con mia moglie in India cogliendo l'occasione di un invito che mi aveva fatto Rosenstein-Rodan, un professore del Mit, di partecipare a un gruppo di quattro-cinque studiosi europei e americani che assistevano alla Planning Commission indiana. (…)
È stato un anno importante, che mi ha lasciato nel fondo del cuore il desiderio di ritornare, magari da vecchio, come oggi sono, a trovarsi sulla frontiera dei problemi che contano, dove le decisioni, i consigli, possono avere degli effetti importanti. (…)
Quanto è stata importante la figura di Moro nel suo itinerario politico?
Con Moro i rapporti erano di timidezza tra professionisti in campi diversi e quindi credo che non gli piacessero le mie ricette, anche se condivideva i valori che portavano a quelle ricette. Tuttavia c'era in Moro, nella sua cultura meridionale, un atteggiamento favorevole ai processi spontanei. Nonostante i suoi discorsi sulla programmazione, c'era quel buon senso quasi "contadino" di diffidenza nei confronti di manovre di bilancio troppo azzardate. (...)
Affrontiamo il discorso su un piano più generale. L'economia, quindi il mercato, il capitalismo, e l'etica. Secondo lei, c'è, se c'è, una relazione tra etica ed economia di mercato?
Il mercato è uno strumento, il migliore strumento che sia stato inventato dall'esperienza collettiva degli uomini per produrre e distribuire le risorse. È uno strumento che non piace agli operatori economici, anche se, ipocritamente, essi lo esaltano. Il mercato ha bisogno di polizia. La mia esperienza, una delle più importanti che feci da ministro, quella relativa al Banco Ambrosiano, è la dimostrazione che c'è la necessità di un'azione di polizia, che non guardi alle associazioni e ai rapporti tra l'imprenditore disonesto e magari ambienti vicini a chi deve prendere le decisioni di polizia. Si consideri soltanto il fatto che se quell'imprenditore disonesto viene salvato, se non gli si contrappone tutta la capacità dell'apparato pubblico di controllo e di analisi, sono falsate le regole del mercato e si introducono precedenti estremamente gravi. Forse i critici del mercato guardano al mercato così com'è, al mercato che funziona con la connessione della complicità dei politici, per creare nel mercato un luogo che è piuttosto l'idea di Hobbes dello stato di natura, dell'uomo nemico all'uomo, dell'uomo che è lupo rispetto all'uomo. No, il mercato è un luogo fortemente condizionato dagli obblighi legali di contrattare secondo regole di trasparenza. È interessante che molte di queste critiche derivino proprio da coloro che praticano quotidianamente continue interferenze politiche sul mercato, a favore di Tizio o di Caio.
L'azione di polizia sul mercato deve invece essere esercitata in nome della legge, in nome della garanzia della concorrenza, in nome della parità di coloro che si presentano sul mercato. Chiaramente, gli appalti truccati, le turbative d'asta, tutto quello che oggi emerge in sede giudiziaria, ma che tutti noi conoscevamo, è il modo esattamente opposto, non ha nulla a che vedere con il mercato (...).
Non si può chiedere che in una società modernizzata, quindi rotta sul piano religioso, le regole siano quelle della morale o quelle dell'insegnamento di Cristo. Occorre stabilire dei patti che hanno una natura come quella delle convenzioni sportive. Il mercato è una di queste convenzioni. Bisogna avere la mentalità dello sportivo, che sa di non poter violare una regola perché quello sport si pratica in quel certo modo. Insomma, è la contrapposizione tra una corsa alle Capannelle e il Palio di Siena. Al Palio di Siena si fa di tutto.
Quindi c'è comunque un'etica in questo tipo di comportamento…
Sì, ma la prima etica è quella di rispettare le regole del gioco. Il primo valore che credo debba essere rispettato è quello delle regole del gioco del mercato.
Di Andrea Scazzola - Il Sole 24 ore
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