Il mondo è diventato comunicazione, chi non ha accesso ai nuovi strumenti
è tagliato fuori
Perché si parla tanto di social media (da domani al centro di una manifestazione internazionale che per l’Italia sarà ospitata a Torino)?
Circa vent’anni fa l’inventore del web, Tim Berners-Lee, progettò il web in modo che fosse strutturalmente «read/write», ovvero, «leggi/scrivi». In altre parole, il web nasce come una biblioteca i cui scaffali possono essere arricchiti da chiunque voglia contribuire, senza filtri all’ingresso. E non solo con libri e riviste, ma anche con diari, manifesti, lettere, fogli sparsi e semplici bigliettini. Si tratta di un cambiamento radicale del concetto tradizionale di «pubblicazione», un cambiamento col quale stiamo facendo ancora i conti.
Per pubblicare su Internet, però, occorre avere a disposizione un computer specializzato detto server web. Poiché purtroppo non è agevole avere un proprio server, a inizio secolo alcuni imprenditori iniziano a offrire spazio - a basso costo o addirittura gratuitamente - sui propri server. Per gli utenti è come accedere a scaffali gratuiti invece di doversene procurare di propri, una semplificazione molto gradita. Nascono quindi le prime piattaforme online che nel giro di pochi anni permettono dapprima la rapida diffusione dei blog e poi anche di fotografie e video. Naturalmente il servizio gratuito comporta rischi - incluso quello che lo scaffale scompaia all’improvviso o che il proprietario sorvegli, o magari reprima, le attività degli utenti - ma è innegabile che grazie alle piattaforme centinaia di milioni di persone sono riuscite a far sentire la propria voce online.
Negli ultimi anni avvengono due ulteriori svolte che portano alla situazione attuale. La prima è basata sul fatto che molte persone hanno almeno saltuariamente il desiderio di comunicare qualcosa di breve, come la segnalazione di un libro o di un link web, un commento o una notizia. Insomma, di inviare qualcosa che potremmo chiamare sms pubblici. Nascono quindi le piattaforme di «microblogging», tra cui le più famose sono oggi Twitter (circa 150 milioni di utenti attivi) e, con funzionalità più potenti, Tumblr (circa 65 milioni di microblog).
A questo sviluppo se ne affianca un secondo, ancora più rilevante, ovvero, l’aspetto sociale. A tutti, infatti, piace (anche per contrastare il sovraccarico informativo) concentrare l’attenzione su persone che per un qualche motivo interessano - che siano amici, conoscenti o persone famose - e a tutti piace avere canali per raggiungere la propria cerchia (o, meglio ancora, cerchie) di contatti. Questo desiderio è alla base del successo sia delle già menzionate piattaforme di microblogging, che sono tutte in qualche modo sociali, sia delle piattaforme più specificamente sociali come Facebook.
Grazie a questi strumenti, chiamati complessivamente «media sociali», e grazie anche ai sempre più diffusi smartphone, comunicare non è mai stato così facile, anche se spesso la comunicazione si riduce a un semplice «mi piace» o a un «retweet».
Le conseguenze sono pervasive. Dall’ambito personale da cui erano partiti, i media sociali sono ormai strumenti di informazione scientifica, di attività politica, di diplomazia internazionale, di pubblica amministrazione, di lavoro, di cultura, di marketing nonché di formazione della pubblica opinione. Discussioni che una volta si svolgevano esclusivamente nei bar (o nelle mailing list), ora si articolano anche su Twitter o su Facebook - con forti limiti, ma anche con una vitalità spesso straordinaria.
Con la consueta, ferrea transizione dal «si può» al «si deve» che caratterizza la tecnologia, sta quindi diventando difficile non avere una presenza «social», così come in precedenza, per restare ad anni recenti, era diventato difficile non avere un telefono cellulare. Ciò vale per aziende e istituzioni, ma anche per un numero crescente di individui, fosse anche solo per migliorare le proprie prospettive lavorative: molti datori di lavoro, infatti, usano i media sociali per trovare le persone di cui hanno bisogno (e viceversa). La chiave per affrontare questo cambiamento è triplice: chiarire i propri obiettivi comunicativi; informarsi sugli strumenti che si intende usare, e infine - e soprattutto - provare. Perché - più ancora che per altri aspetti del web - solo sperimentando di persona si riescono veramente a capire potenzialità e limiti di questi strumenti, che ormai sono diventati parti essenziali dell’esperienza digitale.
JUAN CARLOS DE MARTIN - La Stampa
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