lunedì 3 ottobre 2011
Dove sta il coraggio di essere ottimisti
Moisés Naim
In Italia, tutto il dibattito politico nazionale è condizionato dalla certezza che il passato era migliore del presente e sarà migliore del futuro. Forse è vero, forse l'Italia è condannata al declino. Ma prima di giungere a questa conclusione è utile tenere presente tre cose: la prima è che forse questo pessimismo è infondato e che il futuro potrebbe essere molto migliore del passato; la seconda è che la maggior parte degli abitanti del pianeta oggi se la passano meglio che in qualsiasi altro momento storico; la terza è che se altri Paesi sono riusciti a superare crisi croniche e a progredire a ritmo sostenuto, perché l'Italia non dovrebbe riuscire a fare altrettanto?
Cominciamo col ricordare che la percentuale di popolazione mondiale che vive in condizioni di estrema povertà è drasticamente diminuita: dal 63 per cento del 1950 al 35 per cento del 1980 e al 12 per cento del 1999; e continua a diminuire, nonostante la crisi. Secondo il Rapporto sullo sviluppo umano dell'Onu, solo tra il 1990 e il 2010 la maggioranza dell'umanità è progredita al punto che ora è più sana, vive più a lungo, ha un livello di istruzione più alto e ha accesso a più beni e più servizi di tutte le generazioni precedenti. E sono anche diventati più numerosi gli abitanti del pianeta che hanno il potere di scegliere i propri leader e mandarli a casa quando perdono il consenso popolare.
L'obiezione ovvia a questa visione rosea del mondo è che il progresso non avanza allo stesso modo ovunque. È vero: in Africa e nell'ex Unione Sovietica la povertà è diminuita meno che in altre zone del mondo. Altri indicatori sociali ed economici, però, sono migliorati ovunque: la mortalità infantile è diminuita e l'aspettativa di vita è cresciuta. A metà degli anni Settanta, una persona viveva in media 72 anni nei Paesi sviluppati e 59 nei Paesi più poveri: ora nel primo gruppo siamo arrivati a 74 anni e nel secondo a 62,4. Gli abitanti del pianeta che soffrono la fame (cioè che assumono meno di 2.200 calorie al giorno) sono diminuiti dal 56 per cento degli anni 60 a meno del 10 per cento oggi. Negli anni 50 la metà della popolazione mondiale non sapeva leggere e scrivere: oggi l'analfabetismo interessa il 19 per cento degli esseri umani, e continua a scendere. Tutto questo vale soprattutto per le donne: nel 1970 per ogni 100 uomini capaci di leggere e scrivere c'erano 59 donne, oggi sono 80. Nelle aule scolastiche di tutto il mondo capita sempre più spesso che le bambine siano più numerose dei maschi, e il divario di istruzione fra i due sessi è ai livelli più bassi nella storia dell'umanità. Nel 1960, il 25 per cento dei bambini in età scolare svolgeva un lavoro a tempo pieno: oggi i bambini lavoratori sono solo il 10 per cento.
Il progresso è ancora più evidente se si prendono in considerazione altri indicatori: l'accesso all'energia elettrica e all'acqua potabile, ai telefoni, alla televisione, alla radio, alle automobili e ad altri beni materiali. In generale, il numero di persone che dispongono di questi servizi e prodotti è aumentato enormemente negli ultimi trent'anni, e in alcuni casi questo aumento non è avvenuto solo in cifre assolute, ma anche in percentuale, nonostante il rapido incremento della popolazione. Francis Heylighen e Jan Bernheim, due ricercatori belgi, hanno sviluppato un modello che incorpora un elevato numero di variabili: probabilità di morte per incidente, omicidio o guerra, libertà politiche ed economiche, difesa dei diritti umani, accesso all'informazione ecc. L'analisi dei due ricercatori giunge alla conclusione che oltre a un progresso quantitativo su tutti i fronti ci sono anche dati che segnalano un incremento del coefficiente intellettuale medio della popolazione mondiale.
Dal Brasile alla Turchia, dal Cile alla Cina, dal Camerun alla Colombia, le sorprese positive si susseguono. Da Internet alla decodificazione del genoma umano, la scienza e la tecnologia aprono porte di cui non sospettavamo nemmeno l'esistenza. Il mondo progredisce.
Ovviamente, questo brevissimo resoconto di quello che è successo nel mondo negli ultimi decenni ha un taglio deliberatamente positivo e ottimista. Sussistono molti problemi gravi, e l'elenco lo conosciamo tutti. Un'altra obiezione comune è che è più facile far uscire dalla povertà estrema centinaia di milioni di persone che risolvere i problemi strutturali di un Paese avanzato, maturo e complesso come l'Italia. Non è necessariamente così. Non c'è niente di più difficile che rompere le catene che imprigionano una famiglia in una situazione di povertà estrema. E non c'è motivo per supporre che i problemi del Cile o della Malaysia fossero più facili da risolvere dei problemi dell'Italia odierna.
So che è facile tacciare questa tesi di un'Italia in grado di trasformarsi in modo rapido e nella direzione giusta come una visione ingenua e semplicistica. Ma so anche che è ancora più ingenuo e semplicistico arrendersi all'idea che l'Italia sia condannata a non riuscirci. E soprattutto, dovrebbe essere inaccettabile.
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