Regola numero uno: faccio quello che mi pare. Questa è la nuova morale degli italiani: individualismo spinto, insofferenza per le regole, attenzione centrata sui propri bisogni e sul proprio tornaconto, fino al punto di alzare la voce e le mani.
Di fronte a un aumento negli ultimi 5 anni - delle minacce e delle ingiurie del 35,3%, delle lesioni e delle percosse del 26,5% e dei reati sessuali dell’ordine del 20%, il Censis ha provato a indagare sul perché in questo Paese stiamo dando di matto con una frequenza inedita e montante. E ne è nata una indagine - «La crescente sregolazione delle pulsioni» - presentata ieri mattina a Roma.
Il criterio che governa l’agire degli italiani è che ognuno è arbitro unico dei propri comportamenti: decido io cosa è meglio fare. Così pensa l’85,5% degli italiani. Le regole - ovviamente - ci sono ma possano essere aggirate in molte situazioni: sono i vertici delle istituzioni a dare l’esempio in questo senso, dalle moratorie, agli slittamenti, alle deroghe, fino ai condoni.
Se uno vuole divertirsi non può fare a meno di eccedere e trasgredire, pensa il 44,8%. E poiché viviamo in un mondo di prepotenti, è accettabile e ammesso difendersi anche con le cattive maniere, sentenzia un altro 46,4% (ma ben il 61,3% di quanti abitano nelle grandi città, dove i conflitti sono più esasperati).
Se questo vale per le leggi civili, figuriamoci per quelle morali. Tra chi si dice cattolico, per esempio, la doppia morale è la regola: per raggiungere i propri fini bisogna accettare i compromessi secondo il 46,4%, quanto - poi alla morale sessuale, lascia il tempo che trova per il 63,5% degli intervistati, che diventa 80% tra i giovani.
Questo individualismo rende soli e sbandati, ed espone gli italiani a nuove dipendenze e vecchie fragilità psicologiche. Per cui diminuisce in generale il consumo di sostanze stupefacenti (tra il 2008 e il 2009 i consumatori sono calati del 25,7%, passando da 3,9 milioni a 2,9 milioni circa), ma non quello della cocaina - droga dell’aggressività - tant’è che sono aumentati del 2,5% i coicainomani in carico ai Sert. In crescita, invece, i consumi di bevande alcoliche tra i giovani, che si ubriacano regolarmente in misura del 16,6% (oltre un milione in termini assoluti), 1,7% in più rispetto allo scorso anno.
Anche un fenomeno in sé positivo, come i social network, dice il Censis, può celare un sintomo di malessere: la difficoltà a stabilire relazioni reali e la tendenza a sostituirle con quelle virtuali. Dal settembre 2008 al marzo 2011 gli utenti di Facebook sono passati da 1,3 milioni a 19,2 milioni.
Ogni utente trascorre su Facebook mediamente 55 minuti al giorno, è membro di 13 gruppi, e ogni mese «posta» 24 commenti, invia otto richieste di amicizia, diventa fan di quattro pagine e riceve tre inviti ad eventi. La medesima fragilità si esprime nella difficoltà ad accettarsi per quello che si è, e così nel 2010 sono stati circa 450mila gli interventi di chirurgia estetica effettuati in Italia. Anoressia e bulimia sono le prime cause di morte tra le giovani di 12-25 anni, e ne sono colpite circa 200mila donne.
Pulsioni sempre più distruttive evolvono, spesso, in depressione conclamata. Il riscontro è nel consumo di antidepressivi: le dosi giornaliere sono più che raddoppiate dal 2001 al 2009, passando da 16,2 a 34,7 per 1.000 abitanti, ovvero segnando un preoccupante incremento del 114,2%.
«L’Italia - spiega il direttore del Censis, Giuseppe Roma è stato sempre un Paese di individualisti. La stessa crescita economica degli ultimi decenni è nata dal desiderio di mettersi in proprio e progredire. Questo fenomeno - tuttavia - è stato accompagnato da una politica che ha accettato, a fronte della crescita e dello sviluppo, di chiudere un occhio su molte regole. Esistevano, però, allora, vari fattori di coesione sociale che ci consentivano di arginare gli eccessi di questa deriva: la famiglia, la scuola, i partiti, la chiesa. Quando tutto questo è saltato, gli italiani sono stati esposti - senza difese e senza antidoti - a tutte le sollecitazioni della modernità: Internet, i social network, la forte competitività, i raffronti con modelli irraggiungibili, la conflittualità sociale. Lo stress è stato terribile: in qualcuno ha scatenato l’aggressività, in qualche altro la depressione, in molti l’alienazione».
Stefano Masci - La Stampa
Stefano Masci - La Stampa
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