Quando Jaya Row, brillante manager di Bombay laureata in microbiologia, decise di approfondire lo studio dei Veda, gli antichi testi sacri indiani, suo marito temette che volesse chiudersi per sempre in un ashram (monastero induista).
Trent’anni dopo invece, madre e nonna, insegna ai manager di aziende internazionali come Coca Cola e Ibm la sua ricetta della felicità, ovvero come vivere una vita pienamente spirituale ma del tutto terrena, perché «in questo mondo nasciamo e in questo mondo dobbiamo essere felici per poter dare il meglio di noi stessi».
Attraverso l’organizzazione da lei fondata, Vedanta Vision, la studiosa insegna la vera essenza della tradizione spirituale indiana. «La mia storia non fa notizia, eppure i media mi cercano, così come le grandi aziende, perché in ogni uomo sorge spontaneo il desiderio di felicità», dice circondata da amici a Torino, dove ha tenuto un seminario dal titolo promettente «Vivere ispirati: il sentiero verso la felicità». Quel sentiero sul quale si incamminò fin da piccola – «una bambina come tutte» – dopo essersi innamorata di «un’incomprensibile lezione di filosofia» che, a soli 12 anni, si trovò per caso ad ascoltare con la mamma. Di lì il desiderio sempre più chiaro, maturato nei frangenti di un’esistenza convenzionale ma diventato scelta di vita, di trasmettere agli altri esseri umani quella ricetta «di cui non vanto alcun copyright perché gli indiani hanno la spiritualità nel sangue». Con il valore aggiunto che, diversamente dagli altri maestri spirituali, Jaya ha conosciuto da vicino l’umanità di cui parla, «la noia di vivere, i musi lunghi di impiegati e direttori che non si accorgono del sole che da milioni di anni sorge alla giusta distanza perché non ci bruciamo né geliamo».
Il lavoro non distrae l’uomo dalla felicità perché «il lavoro intenso è riposo, diceva Swami Rama Tirtha». Le parole di chi l’ha preceduta servono a Jaya da collante per un discorso che parte dall’uomo e riconduce all’uomo attraverso il filo della sua intima natura che «è buona».
La religione non c’entra, come non c’entrano le inclinazioni e la personalità di ognuno, perché la felicità è per tutti. Presa coscienza della possibilità di essere felice, sta dunque all’uomo, l’unico essere in grado di trasformare se stesso, imparare scientificamente a diventarlo: l’ingrediente chiave è il «corretto self-management», cioè la perfetta disciplina della propria vita, il sapere come siamo fatti e di che cosa abbiamo bisogno, grazie a una «spiritualità scientifica» che ci conduce per mano in un costante lavoro di introspezione, in una parola «ispirazione».
«Noi stessi siamo la causa della nostra insoddisfazione», ragiona, «il male che ci avvelena la vita deriva da ostacoli e nemici immaginari che restringono il nostro mondo rendendoci mediocri. Qualcuno ha mai odiato una tigre perché è feroce? Così non dovremmo odiare qualcuno perché diverso da noi».
Le difficoltà lubrificano la nostra mente, la esercitano. A questo punto Jaya prende a prestito la tradizione giapponese per raccontare la storia dei pescatori che, trasportando il pesce in vasche, si accorsero che non arrivava fresco perché si muoveva poco. La soluzione? Misero gli squali nelle vasche e il pesce tornò vivace e fresco. Jaya Row ama raccontare storie che risvegliano la coscienza, bussola del self-management, sentinella che vigila sulla nostra attenzione.
«Dedichiamo ogni mattina un po’ di tempo all’introspezione, troviamo lo spazio per ascoltare musica e soprattutto mettiamoci in relazione con il mondo, e capiremo che il successo degli altri è anche il nostro». Un percorso che inizia dal desiderio materiale, passa attraverso l’ascolto delle emozioni e l’esercizio della mente per trovare il suo traguardo naturale nell’appagamento dello spirito, così come «un adulto non desidera più i giocattoli perché è cresciuto». In quest’ottica, pensare positivamente non è difficile.
Naturale chiedersi, ora, se Jaya sia felice. «Non ancora del tutto, ma un giorno lo diventerò», dice con un sorriso. Del resto, «le persone di successo camminano sempre in salita. Ma la vetta è là ad aspettarle, perché la meritano».
Marzia De Giuli - La Stampa
Nessun commento:
Posta un commento