"Bisogna rompere tanti tabù e provare a realizzare se stessi" |
Non tutti sono capaci, come Tiziano Terzani di dire: «La fine è il mio inizio». La fine è spesso carica di rimpianti per i sogni traditi, gli amori lasciati andare, gli amici perduti. Della morte, scaramanticamente si parla poco (tranne che in serie cult come Medium e Ghost Whisperer, piene di spiriti inquieti e torti da riparare), ma c'è chi ha avuto il coraggio rompere il tabù. Randy Pausch, professore di informatica alla Carnegie Mellon University di Pittsburg, condannato da un cancro al pancreas (se ne è andato nel 2008) le ha dedicato la sua ultima lezione. Titolo: Realizzare i sogni dell'infanzia.
E se certe volte è possibile riacchiapparli in extremis, come Jack Nicholson e Morgan Freeman nel film «Non è mai troppo tardi», è anche vero che bisognerebbe pensarci prima... Forse, proprio per questo, i «cinque rimpianti» raccontati da Bronnie Ware, blogger australiana ma anche cantante folk e assistente dei malati terminali, donna dalla mille esperienze, assumono un valore speciale. Ripresi da centinaia di siti, diventeranno un libro. «Ho passato con molte persone dalle tre alle ultime 12 settimane della loro vita. «Quando veniva loro chiesto che cosa avrebbero fatto diversamente, e che cosa avrebbero cambiato, le risposte erano sempre le stesse. Così le ho scritte». Leggetele su www.inspirationandchai.com/Regrets-of-the-Dying.html.
1. Mi sarebbe piaciuto di avere il coraggio di vivere una vita vera per me stesso, non la vita che gli altri si aspettavano da me. Questo, dice Bronnie, è il rimpianto più comune. Quando la gente si guarda indietro, vede le false partenze e i sogni non realizzati. Se Randy Pausch, consiglia di puntare su obiettivi possibili, lo psicoanalista Giancarlo Ricci invita «a non abbandonare mai i propri desideri, a non cederli, senza riflettere. La vita è moneta vivente».
2. Non avrei voluto lavorare tanto. Il lavoro è la nuova, crudele divinità. L'ha smascherata Michela Marzano nel saggio «Estensione del dominio della manipolazione» (Mondadori), che spiega l'appiattimento sui miti di carriera e denaro. Ricorda Bronnie: «Quasi tutti gli uomini avevano questo rimpianto, e solo alla fine si rendevano conto e di aver rinunciato, in nome di uno stile di vita, o un po' più di soldi, a veder crescere i figli o all'amore di una compagna. Non c'era tempo».
3. Avrei voluto avere più coraggio nell'esprimere i miei sentimenti. L'autenticità si perde da bambini. «Si cambia, In nome dei buoni rapporti, delle regole sociali, della necessità e della convenienza - spiega Ricci -. Tutti sentono di avere tradito se stessi e le proprie emozioni. Molti sviluppano malattie legate all'amarezza e al risentimento che si portano dentro». Essere se stessi, paga. Se si rompe una relazione sbagliata, si vince in ogni caso.
4. Mi sarebbe piaciuto restare in contatto con i miei amici. Adesso che siamo tutti su Facebook l'amicizia sembra a portata di mano, ma quando facciamo un bilancio - sostiene Bronnie - «ci accorgiamo di aver lasciato svaporare le amicizie. Invece è importante tenere stretti i legami».
5. Avrei voluto concedere a me stesso la possibilità di essere felice. Ogni storia è diversa, eppure, sostiene Daniel Todd Gilbert, direttore dell'Hedonic Psychology Laboratory di Harvard, la felicità è scelta. Certe volte fingiamo di essere contenti - avverte Ricci - «e riduciamo tutto al mondo degli oggetti e al denaro. Riprendiamoci l'umanità». Con la speranza che i rimpianti degli altri ci insegnino a vivere meglio.
Roselina Salemi - La Stampa
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