Quando frasi, parole, detti popolari, prendono come riferimento termini enogastronomici.
Quanti si soffermano a riflettere su quante frasi, parole, detti popolari, “condiscono” la nostra lingua quotidianamente? A conferma dell'importanza che rivestono, in Italia, il cibo e la cucina nella nostra vita, in quella “way of life” che tutto il mondo ci invidia. "Le parole che mangiamo" sono un tutt'uno con il nostro lessico nell'uso comune e sicuramente la maggioranza delle persone, non ci fa più caso. Invece le utilizziamo come metafore tutti i giorni, per sottolineare azioni, esprimere giudizi, indicare situazioni od oggetti. Così, ad esempio, parliamo di grossa "nespola" quando vogliamo evidenziare una bella botta o un bel problema, di "cipollone" se vogliamo indicare un orologio magari un po’ datato, esprimiamo invece un giudizio negativo quando diciamo di una persona che non è "nè carne nè pesce". Comunichiamo continuamente con espressioni gastronomiche, siamo in alcuni casi "da uova e da latte", a volte veniamo definiti “bolliti" o “pesci lessi” oppure possiamo "essere della stessa pasta" o "avere le mani in pasta". Possiamo "dividerci o spartirci la torta" viceversa accontentarci di “un tozzo di pane”, sapere o meno "cosa bolle in pentola", siamo bravi a passare "la patata bollente" a qualcun altro, anche se di solito finisce tutto a "tarallucci e vino". A volte veniamo beccati “con le dita nella marmellata” e, forse, un po’ ci vergogniamo. Noi italiani ci lamentiamo che è "sempre la stessa minestra" o comunque "una minestra riscaldata", ma siamo "di bocca buona" anche se in certe occasioni "non riusciamo a digerire il tale". Chi è iperattivo mette "troppa carne al fuoco" con il rischio che ci "sia tanto fumo e poco arrosto", c'è sempre chi "la vuole cotta e chi la vuole cruda", chi ha la fortuna di cadere "come il cacio sui maccheroni" oppure di essere ovunque "come il prezzemolo", il peggio però è essere "cattivi come l'aglio". Ci sono anche le persone tutto "latte e miele", quelli che riescono sempre a mettere "la ciliegina sulla torta" nei lavori, chi fa "cuocere nel suo brodo" gli altri, ma poi in fondo dice che… “tutto fa brodo", qualcun altro sa "allungare il brodo", ma i peggio sono quelli che "rivoltano sempre la frittata". C’è anche chi "fa la frittata". E come ci stanno antipatici quelli che hanno sempre avuto "la pappa fatta". Quante volte abbiamo pensato: "che pizza". Ci sono persone che "non valgano un fico secco", altri dicono delle cose che "c'entrano come i cavoli a merenda". A volte si "rimane a bocca asciutta". Ci sono persone che definiamo "tenere come il burro" e quelli che vorrebbero invece "far le nozze coi fichi secchi", a volte si mette "tutto nello stesso calderone". I bravi si specializzano nel loro "piatto forte" per poter impressionare, qualcun altro "è alla frutta". E chi non sa che non bisogna far sapere al contadino "quanto è buono il formaggio con le pere". Ci sono persone che hanno "sete di conoscenza" e "divorano libri". Si potrebbe continuare ancora, tanto è “infarcita” la nostra lingua di tali espressioni. Mi colpisce, negli ultimi anni, il fatto che molti manager amano usare allegorie legate alla cucina o alla ristorazione per spiegare la “mission” della loro azienda o la qualità dei servizi erogati. La cucina si conferma ancora una volta una grande forma di civiltà e maestra di vita.
Pierangelo Raffini
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