lunedì 20 dicembre 2010

FELICITA': La svolta di mezza età. Si è felici solo dopo i 46 anni

Il benessere emotivo è una curva a U: con la piena maturità diventa stabile

La vita comincia a 46 anni. È quella l'età del più profondo scontento: poi si risale. A questa conclusione giunge The Economist, e ci dedica la copertina del numero doppio di Natale. Qualche malizioso sospetterà che 46 anni sia l'età media dei lettori del settimanale. Se soffrono di paturnie prenatalizie, sappiano che in futuro andrà meglio. Ma non è così. L'ossessione di quantificare la felicità è diventata la nuova ansia del mondo: i bravi giornalisti - soprattutto se hanno un'età tra i quaranta e i cinquanta - non possono non accorgersene. Ormai non si parla solo di GDP (Gross Domestic Product, prodotto interno lordo) ma anche di GNH (Gross National Happiness, felicità lorda nazionale). Ha cominciato il Buthan, Sarkozy in Francia e Cameron in Gran Bretagna si sono detti interessati (Berlusconi no: al momento, per lui, più della felicità conta la fiducia). Una serie di studi recenti indica che il benessere emotivo è una curva a U. Si parte bene, da giovani. Si scende in fretta. Poi si comincia a risalire, fino ad arrivare a una stabilità che somiglia molto alla serenità. Quando avviene l'inversione? Lo abbiamo detto. A 46 anni.

NADIR VARIABILE - I lettori quarantacinquenni, quindi, si consolino: manca poco. I lettori ventenni, d'altro canto, non si preoccupino: c'è tempo. I lettori anziani, infine, si rallegrino: non c'è mai stato periodo migliore per invecchiare. Partendo dalla battuta di Maurice Chevalier («La vecchiaia non è così male, se consideriamo l'alternativa»), l'Economist sfodera una serie di informazioni interessanti, come lo studio di David Blanchflower di Dartmouth College, che ha studiato i dati provenienti da 72 Paesi del mondo. Il nadir - il punto più basso - del benessere personale cambia da nazione a nazione. Per gli svizzeri è 35 anni, per gli ucraini 62. Ma la media è - ripetiamolo ancora - 46 anni. Qualcuno potrà obiettare: c'è bisogno di uno studio americano per sapere che tra i quaranta e i cinquanta arriva la midlife crisis? La crisi di mezza età per cui ogni uomo (maschio) si butta in qualcosa di strano: un investimento rischioso, una segretaria procace, un'auto veloce o un hobby ossessivo. Una donna al suo fianco deve assistere allo spettacolo (di solito mentre si occupa di genitori cocciuti e figli adolescenti scatenati).

VALORE ALLE COSE - Portando una scarica di opinioni accademiche a sostegno della propria tesi, l'Economist indica alcuni elementi - diversi dai progressi della medicina - che rendono la terza parte dell'esistenza degna d'essere vissuta. «Quando i giovani guardano agli anziani pensano che è terrificante sapere di essere vicini alla fine della vita», scrive il settimanale. Ma le persone anziane hanno imparato una cosa importante: dare valore alle cose che contano. Sono meno ambiziose e più tolleranti. Dice Laura Carstensen, professore di psicologia a Stanford: «I giovani vanno ai cocktail sperando di incontrare qualcuno che gli tornerà utile. Gli anziani ci vanno se ne hanno voglia». Di solito, non ce l'hanno. E questo è saggio, conclude l'accademica: «Perché nessuno ha veramente voglia di andare ai cocktail».

WHO E BEATLES - Pete Townsend degli Who - nel 1965, quando aveva vent'anni - cantava: «Things they do look awful cold/Hope I die before I get old» (le cose che fanno sembrano squallide parecchio/ spero di morire prima di diventar vecchio). I Beatles, due anni dopo, rispondevano: «When I get older losing my hair/Many years from now/Will you still be sending me the Valentine/Birthday greetings, bottle of wine» (quando divento vecchio e perdo i capelli/tra molti anni/mi manderai ancora un biglietto per San Valentino/gli auguri per il compleanno/una bottiglia di vino). Molto tempo dopo, con il conforto dell'Economist, possiamo dirlo: «When I'm sixty-four» batte «My generation». E 64 - se ci pensate - è il contrario di 46.

di BEPPE SEVERGNINI

Nessun commento: