Pil in discesa, evasori in aumento e una società sempre più cattiva
Il futuro non è più quello di una volta,
si può veder scritto in grossi caratteri
neri vicino alla Triennale di
Milano. Marco Revelli ha adoperato
quelle parole, quasi una dedica, (esattamente
un apoftegma) sotto il titolo di Poveri, noi, il
suo nuovo amaro libro (Einaudi, pp. 127, € 10)
che si propone di tentare di far capire qual è,
esibendo numeri e prove, la situazione di una
società, la nostra, che in pochi decenni si è quasi
disfatta. È la narrazione di un «Paese fragile,
che non ammette di esserlo». Fragile moralmente,
politicamente, umanamente. Un’Italia in grave
crisi ai suoi vertici e alla sua base sociale dove
trovano sempre più nutrimento «le frustrazioni
e i veleni, i risentimenti e i rancori, le rese morali
e i fallimenti materiali». Dove, scrive sempre
Revelli, l’indurimento del carattere, l’intolleranza
per le debolezze dei deboli e il simmetrico eccesso
di tolleranza per i vizi dei potenti, il diffondersi
dell’invidia come sentimento collettivo, il
fastidio per gli eterni «inferiori» e l’emulazione
dei nuovi «signori» sono diventati i segni diffusi
del vivere.
Marco Revelli racconta nel suo libro il micidiale
impasto della crisi antropologica di questi anni
che copre non soltanto la stagione berlusconiana,
la maggior responsabile della caduta di
sostanza e di stile della società dal 1994 al tempo
presente, ma racconta anche quel che accadde
dagli anni 80 del Novecento, la sconfitta operaia
alla Fiat, fino a oggi.
Che cosa è successo in un Paese come il nostro
a stravolgere e a inquinare, non certo in modo
assoluto, un costume di vita e di pensiero?
Sembra che troppo spesso persino la pietà della
lezione cristiana sia stata dimenticata e che anche
le fonti della Rivoluzione francese come
l’uguaglianza e la fraternità siano state cancellate.
Senza dimenticare la Carta costituzionale del
1948—i Principi fondamentali—ricca di aperture
sociali e di regole ben definite, di cui i governanti
di oggi farebbero volentieri carta straccia.
Marco Revelli, professore di Scienza della politica
all’Università del Piemonte Orientale, autore
di saggi sul Novecento, le ideologie, il lavoro,
lo smarrimento politico, in Poveri, noi fa una radiografia
senza sconti o ipocrisie dell’eterna
transizione italiana, dalla fine delmodello industriale
della grande fabbrica al primo decennio
del nuovo secolo. E analizza, ragionandoci sopra,
con l’aiuto di una ricca bibliografia e degli
strumenti dell’Istat, dell’Ocse, di Bankitalia, dell’Eurostat,
della Cies (la Commissione povertà),
della Caritas, dell’Ires Cgil e di altri centri di ricerca,
qual è la condizione umana del nostro
tempo. Dei singoli, delle classi sociali, dei giovani,
eterni precari, e dei loro padri che portano
da soli sulle spalle il peso della famiglia operaia
e anche piccolo-medio borghese. Revelli studia
con rigore la povertà dei lavoratori dell’industria,
il declassamento dei ceti medi e la distanza
diventata abissale tra élite e popolo minuto.
I numeri non sono aridi, rappresentano uomini
in carne e ossa, puntelli non smentibili nel
clima della finta positività oggi di moda.
Qualche dato. L’Italia ha perso, dal 1998, 18
punti nella classifica europea del Prodotto interno
lordo. Nel 2009 quasi 8 milioni di persone
sono in condizioni di «povertà relativa», i poveri
in senso assoluto superano i tre milioni. Nel
Sud si concentra il 70 per cento delle famiglie
povere, nonostante vi risieda un terzo della popolazione
nazionale. Il livello delle retribuzioni
italiane è al ventitreesimo posto su trenta Paesi
presi in esame. Lo spostamento della ricchezza
prodotta, dai salari ai profitti, ha toccato in Italia
8 punti percentuali sul Pil, una cifra enorme, 120
miliardi di euro passati dai deboli ai forti. Quattro milioni
di persone arrivano faticosamente alla
fine del mese, tre milioni e mezzo sono in difficoltà
per le spese della vita
quotidiana, gli impoveriti. Sei
milioni sono censiti come «vulnerabili
». Le cause della crisi
domestica sono molteplici: la
disoccupazione, la diminuzione
delle entrate, i mutui per la
casa, la scuola dei figli e anche
il consumismo dissipatore.
Tutto questo accade in un
Paese dove circola un milione
di auto di lusso, di valore superiore
ai 50 mila euro, e dove
prendono il mare 94 mila barche
sopra i 10 metri. I contribuenti
che denunziano redditi
superiori ai 150.000 euro sono
soltanto 149.000. Le dichiarazioni
dei redditi di imprenditori,
albergatori, ristoratori e di
altre categorie, sono miserevoli.
Marco Revelli prende in esame
anche le ragioni della cattiveria,
del rancore, del desiderio
di vendetta di fasce sociali
spuntate come i boletus satanas
(tra i funghi più velenosi) a
turbare quella pace condivisa
di cui si fa un gran blaterare. Il
pogrom di Ponticelli, vicino a Napoli, l’odio per
gli zingari di Opera, nel Milanese, l’ordinanza
dell’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, di
far sparire le mani tese dalle porte delle chiese e
i questuanti dal centro della città, i provvedimenti
di destra e di sinistra contro gli accattoni,
al Nord come al Sud, l’ordinanza antisbandati
del Comune veneto di Cittadella, il premio promesso
ai vigili di Adro (Brescia) per ogni clandestino
individuato, l’intolleranza di numerosi sindaci
del Triveneto, soprattutto, nei confronti dei
più deboli, extracomunitari, senza diritti, di cui
hanno avuto e hanno ancora bisogno.
Un prezioso libro, questo di Marco Revelli,
per conoscere e per comprenderemeglio la realtà.
Il «che fare» spetta ai politici. Poveri, noi. Poveri
noi!
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