«La svolta quando in tv vidi i bimbi somali che morivano di fame». «Mi sentivo come un contenitore vuoto»
MILANO - Adesso si fa chiamare il filosofo dei poveri, «perché do loro tranquillità, insegnandogli a sopravvivere». Lui, che di professione fa il barbone per scelta, è una sorta di faro per il mondo dei clochard, in particolare per quelli che bazzicano la stazione di Lambrate. Lui è Alessandro Marcolin, 65 anni, una laurea in economia e commercio e una vita all'incontrario: dalle stelle alle stalle. Da broker assicurativo fino al 2001, a senza tetto per un «bisogno di ritrovarmi». Un professionista da 800 milioni del vecchio conio all'anno, a squattrinato completo, ma con il cellulare. Un clochard atipico che insegue il motto: «puliti, sbarbati e lavati». E spiega: «Chi perde dignità del proprio corpo, ha già perso la dignità di se stesso».
Da un'esistenza agiata, con il primo cavallo da montare a 12 anni e la prima Fiat 600 superaccessoriata a 18, girando in lungo e in largo il globo, ad una sola panchina per dormire, al binario 7 della stazione di Lambrate. Alessandro Marcolin, che non dimentica i suoi trascorsi di nero sanbabilino «che col tempo mi hanno scoglionato», parla citando Erich Fromm ed Hermann Hesse. Fa colazione al bar della stazione, naturalmente offerta dai tanti pendolari che lo conoscono. Mangia alla mensa dei poveri con tessera delle Opere di San Francesco datata 2002, e si lava nei bagni della stazione. Veste scarpe Tod’s e cappotti Loro Piana, scelti con cura nel guardaroba della Caritas. Poi, per raccontare della sua svolta, sorseggia bianco secco e usa espressioni poetiche e forbite del tipo: «Una vita trascendentale. Mi sentivo un contenitore vuoto, in corsa per il successo, ma senza valori».
I ricordi partono dal suo primo amore, a 24 anni, durante una crociera quando «mi sono innamorato di una donna sposata, molto ricca. Le chiesi di lasciare il marito e di venire a vivere con me, ma mi rispose di no. Credo non avesse capito niente dell’amore». Quindi accenna alla moglie e alle due figlie, di 25 e 36 anni, ormai grandi e autonome. «Hanno capito la mia scelta di vita. La più grande, che ha una laurea in architettura, ha ereditato la mia società di brokeraggio. La piccola, invece, ci ha sofferto molto». La svolta avviene in una sera di nove anni fa, a casa di amici benestanti. Alla televisione c’è un servizio su alcuni bambini somali mal nutriti e malati. «Le mogli degli amici, con la solita finta morale, esclamarono: poverini, poverini, che pena! Ma non fecero niente. Io, invece, risposi che ero molto più coerente e che non mi interessava un fico secco di quei bimbi. Ma quella notte non riuscii a dormire. E dentro di me ritrovavo solo il vuoto».
Così, negli otto mesi successivi, Alessandro Marcolin, mette insieme le idee e decide. «Me ne sono andato. Senza accettare critiche alla mia scelta, altrimenti sarei stato condizionato. La mia non è espiazione: quello che ho fatto, l’ho fatto con serenità. Ero in cima alla piramide e adesso sono alla base, ma ho molte più gratificazioni. Essere utile agli altri e avere la loro stima. Non colmare la vita facendo soldi a tutti i costi».
Adesso Marcolin è al binario 7, senza rimpianti. Si alza ogni mattina alle 5.30 e si lava nei bagni della stazione «per non disturbare i pendolari che arrivano con il treno delle 6». E ci tiene a dire che ha trovato posti di lavoro a 40 persone, «di cui 20 lavorano ancora, mentre gli altri si sono persi in droga e alcol». Il «filosofo dei poveri» passa le sue giornate in giro per la città: i parchi e i giardini quando non piove, le biblioteche per leggere e scrivere e gli incontri con gli amici di «nuova generazione», clochard come lui. «E di notte metto i panni del buon samaritano, per aiutare e incoraggiare il popolo dei senza tetto». Poi, per dimostrare di essere al passo coi tempi, nonostante la sua condizione di indigenza, si dilunga sulla situazione politica attuale: «Ci stanno portando via anche la vita. Ma noi italiani abbiamo il grande dono di arrangiarci. Siamo un popolo fantasioso, con molta intuizione e cultura».
Michele Focarete
Nessun commento:
Posta un commento