Alessandro Carenza non è un istintivo. Ma quel giorno presentandosi in ufficio non ha avuto dubbi. Ha messo nero su bianco le sue ragioni e ha rassegnato le dimissioni da lavoratore a tempo indeterminato per una nota multinazionale del settore alimentare. Ha smesso i panni del travet e si è auto-imprenditorializzato. Con l’aiuto della rete.È diventato un dog- sitter online e istruttore cinofilo. La sua passione per i cani l’ha fatta diventare una professione. Su Baubau.biz i clienti possono prenotare il suo servizio di dog-sitting per il fido. Da Milano alle colline del Chianti. Altra storia, analogo destino baciato dalla rete. Quella dei Bertolucci, famiglia di artigiani itineranti in fiere. Un bel giorno hanno deciso di parcheggiare il furgoncino e di accendere il computer. Oggi hanno un negozio online. Su Ecoartigianato. com vendono cuscini in pula di farro bio. E le commesse non mancano. Alessandro e la famiglia Bertolucci sono wwworkers, ovvero world wide workers. Nell’acronimo c’è la sintesi tra il mondo della rete e quello del lavoro. Hanno lasciato il posto fisso e si sono messi in proprio. Il tutto con il supporto (indispensabile) delle nuove tecnologie. Come loro, centinaia di lavoratori di ogni ordine e grado in questi mesi hanno scelto di cambiar pelle diventando wwworkers. Appassionati, intraprendenti, per alcuni incoscienti. Non necessariamente nativi digitali (spesso hanno superato gli anta, e da molto).
Su http://www.wwworkers.it/ si sta scattando un’istantanea per cogliere un trend che ha ribaltato gli stereotipi della italica predisposizione al posto fisso. Il 2010 segnerà la moltiplicazione di questo fenomeno apparso timidamente nel nostro paese, incubato nel sottobosco della crisi economica per tutto il 2009. Già otto anni fa Dan Pink coniò l’espressione “free agent nation” per descrivere il (crescente) movimento dei dipendenti divenuti autonomi abbandonando l’azienda nella quale timbravano il cartellino. Oggi razza in via di moltiplicazione, i wwworkers sono la generazione italiana che lascia il posto fisso creandosi un lavoro in rete. Per sopravviverci. Una tribù indistinta trasforma la propria passione in professione. I wwworkers –impavidi e coraggiosi eroi del terzo millennio – hanno deciso di uscire dalla logica del certo per l’incerto. E di reinventarsi. Passo impegnativo, spesso sofferto. Si diventa wwworker per piacere o per necessità. Non ci sono vie di mezzo. A oggi il 40% dei profili mappati lo fa a seguito di un licenziamento. Gli altri vi approdano per perseguire il sogno nel cassetto relegato al fine settimana, la passione posposta alla necessità di un lavoro sicuro. Fenomeno globale. E in crescita. Microsoft ha pubblicato una ricerca condotta su 13 paesi europei che sottolinea come il 90% dei lavori avrà soprattutto competenze online entro il 2015. E non è un caso che i negozi su eBay si siano moltiplicati: a oggi in Italia la comunità conta 5 milioni di utenti.
Da noi gli imprenditori che gestiscono attività sono circa 18mila e le loro vendite hanno generato un giro d’affari di oltre 270 milioni di euro lo scorso anno. L’Italia nel business sul web trionfa con le esportazioni. Insomma, il made in Italy è una delle chiavi del successo per i wwworkers nostrani. Ecco allora che internet diventa interset di micro-esperienze imprenditoriali. Come fatturato non fanno numeri da capogiro, ma sfruttano le leve di un global che diventa glocal. Global microbrand li ha definiti Hugh McLeod, un pubblicitario inglese che coniò questo termine dopo aver messo in piedi una vetrina virtuale per uno storica bottega sartoriale londinese. In un paese imbalsamato da logiche di casta, i wwworkers – connessi alla rete e alla propria creatività – sono anche la dimostrazione di come si può scommettere sulla cosa più preziosa di cui si è in possesso. Se stessi.
Giampaolo Colletti
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