Che impressione può farsi dell'Italia chi guarda da lontano il caos delle intercettazioni, delle accuse, delle pressioni palesi e nascoste di cui i giornali trattano in queste ore? La prima preoccupazione è che non sia – contro Guido Bertolaso – solo un affondo che poi non arrivi mai in un tribunale. Le contestazioni mosse in Abruzzo, fino all'arresto del governatore, hanno portato alla caduta della giunta, a nuove elezioni, una diversa maggioranza senza che, a distanza di un anno, ci sia non un processo, ma neppure un chiaro capo d'accusa: non è strano se poi l'Europa stigmatizza i nostri processi, eterni e confusi.
Chi non rinuncia a dirsi garantista, scelta che non è affidata a variabili filosofie personali, ma è a tutti noi imposta dalla Costituzione, non può non guardare con amarezza al reticolo di amicizie, fratellanze, consorterie, reciproci favori, ammiccamenti, che prova a inquinare il nostro libero mercato. Ieri su questa pagina Giovanni Bazoli ragionava dei limiti e delle virtù di un mercato governato dal merito: il nuovo rischio è che quelle virtù e quei limiti, insieme, vengano travolti e negati da un sistema dove non vincono l'appalto più innovativo e tecnologico, l'azienda più capace di economia di scala e rapidità, il progettista più elegante e razionale, le maestranze più affidabili e pratiche. No, tutto si rincorre tra Leporelli servili, Capitan Fracassa roboanti, avidi Pantalone che mettono alle corde etica e sana economia.
I moralisti potranno dare la colpa al «particulare» di Guicciardini, i settari all'opposta setta politica. La verità è che – nel vivo di una aspra crisi economica e finanziaria, con il paese che cresce poco e male – se ogni iniziativa pubblica finisce prigioniera di un'emergenza continua e blindata, ostaggio di una casta che odia, teme e ostacola la libera concorrenza degli imprenditori onesti, allora son guai per tutti.
In attesa che le responsabilità dei singoli, incluso Bertolaso, vengano esaminate, è indispensabile che l'aria cambi, e il governo, l'opposizione e l'intera classe dirigente devono contribuire a mutarla liberandosi delle mele marce. Non è in gioco un affare, una lobby, un interesse privato. È interesse nazionale che, da lontano, o da vicinissimo, l'Italia non sia quel paese che sembra essere nelle intercettazioni.
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