Capita spesso pensando al tempo che abbiamo, di pensare alla morte. Soprattutto crescendo e passando dalla giovinezza all'età adulta. In piena lucidità, o ai limiti della pazzia, comprendiamo la vanità delle imprese compiute o da compiere, l'impossibilità di condurre a termine quelle che ci siamo sempre immaginate e rinviate. Una leggera angoscia si impadronisce di noi, l'angoscia della fine... un impensabile vuoto del tempo. Inevitabile la domanda: quanto ci resta ?
Io non ho mai avuto queste paure per fortuna. Anche se la vita l'ho presa sempre troppo, forse, sul serio. Vive meglio chi riesce a pensare alla vita come un gioco. Pensando però che il nostro avversario sia proprio il tempo, cercando di essere abili, sapendo però che alla fine vincerà sempre lui. Come certi giochi on line.
Qualcuno potrà chiedersi, ma ci si può divertire sapendo in partenza che si è destinati a perdere ? I bambini forse non giocano a carte con gli adulti, sapendo di perdere, ma divertendosi comunque ?
Io capisco che non si riesce a sopportare l'inesorabilità del tempo se non si ha, in modo esplicito o implicito, il mito della morte. La cultura occidentale non ha forse elaborato miti sulla morte per rendere più sopportabile e sensato il trascorrere del tempo e l'arrivo della fine ?
E allora ? Allora se pensiamo che il tempo sia poco, cerchiamo di non sprecarlo, ma di impegnarlo, di goderlo, di assaporarlo. Seneca riflettè parecchio sul valore del tempo e si rese conto che per essere soddisfatti occorre chiedersi cosa fare, facendo delle scelte e non fare tanto per fare. Differenziare, ancora una volta, tra quantità e qualità.
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