Il progetto di superconnessione per tutti gli italiani non decolla. La Finlandia in pochi anni arriverà ai 100 Mega
ROMA — Comprensibilmente irritato, l’attore Luca Barbareschi, oggi deputato Pdl e vicepresidente della commissione Comunicazioni non sa farsene una ragione: «Tutta questa storia è un mistero». Si riferisce alla decisione presa dal governo di congelare i finanziamenti (800 milioni di euro) per la banda larga «fino a crisi finita». A crisi finita? E chi decide quando finisce? Il pasticciaccio brutto della banda larga comincia una decina d’anni fa. Apprestandosi a vincere le elezioni del 2001, Silvio Berlusconi ha un piano. Digitalizzare l’Italia in un battibaleno, superando il divario che il Paese ha già accumulato con i concorrenti. Un anno prima delle elezioni il futuro superministro Giulio Tremonti ha già le idee molto chiare.
Il 9 marzo 2000 dice a Dario Di Vico del Corriere : «Internet è quanto di più anti-giacobino possa esistere ed è ovvio che avvantaggi noi. La struttura delle vecchia società sta alla nuova come un vecchio calcolatore sta a Internet. Quello era verticale, rigido, piramidale. La rete è orizzontale, flessibile, anarchica, federale». E obsoleta. Per questo il governo è intenzionato a lanciare un formidabile piano di modernizzazione. Nomina perfino un ministro. Non uno qualunque: nientemeno che l’ex manager europeo dell’Ibm, Lucio Stanca. Ma passa un anno e mezzo, siamo nel dicembre del 2002, e del formidabile piano per digitalizzare l’Italia nemmeno l’ombra. E Stanca consegna la sua delusione alla stampa. «Contavo di avere più soldi, ma in questa situazione è andata fin troppo bene. L’innovazione non ha lobby, girotondi, gruppi di pressione... », si sfoga sempre con il Corriere.
La verità è che non ha una lira. Mentre vede i soldi che gli erano stati promessi andare a ingrassare i bilanci dei partiti politici, o qualche clientela, potrebbe forse rovesciare il tavolo e andarsene. Invece resta lì, a galleggiare. Lanciando di tanto in tanto qualche polpetta alle masse. Come il primo agosto 2005: «La banda larga è un’assoluta priorità nell’agenda di governo, che ha varato una vera e propria riforma digitale per ampliare gli strumenti mediante i quali possono esercitare una piena cittadinanza». Diventerà poi senatore, quindi deputato, infine amministratore delegato dell’Expo 2015. Nel frattempo viene costituita pure una società, Infratel Italia, incaricata di cablare con la banda larga il Sud, colmando così il cosiddetto digital divide . La mettono dentro Sviluppo Italia: poltrone, assunzioni, consulenze. Inevitabilmente. Nel 2007 la Corte dei conti gli riserva questo trattamento: «Alla data del 31 dicembre 2006 sono stati realizzati 510 chilometri di infrastrutture, pari al 29% delle opere previste nel piano. Va evidenziato che i chilometri realizzati sono risultati inferiori a quelli programmati mentre i costi di realizzazione risultano superiori». A quella data erano abilitate alla banda larga il 23% delle aree comunali previste e delle 182 centrali telefoniche programmate per la fibra ottica ne erano coperte appena 36.
Un «risultato poco soddisfacente», secondo la Corte dei conti, che rilevava pure come «la remunerazione del personale manageriale Infratel» era apparsa «particolarmente elevata tanto da arrivare a 1.200 euro al giorno» mentre per gli «incarichi di consulenza» (1.283.799 euro e un centesimo) si sottolineava che erano stati «effettuati intuitu personae, in violazione dei principi di pubblicità, concorrenza e trasparenza». In seguito le cose sarebbero andate un po’ meglio. Ma pur sempre nella precarietà finanziaria. Sapete quanti soldi aveva destinato a superare il cosiddetto divario digitale un Paese che è agli ultimi posti in Europa per la diffusione di Internet? 351 milioni. Che sono poi diventati 301, perché, beffa nelle beffe, 50 sono stati prelevati per la copertura dell’abolizione dell’Ici, promessa in campagna elettorale dall’attuale premier Silvio Berlusconi. Non che le cose andassero molto meglio durante il governo di Romano Prodi, al punto che il presidente dell’Autorità per le comunicazioni, Corrado Calabrò, il 24 luglio 2007, avvertiva: «Siamo al capolinea. La situazione del mercato italiano della larga banda non appare soddisfacente. La copertura, la diffusione, il livello concorrenziale delle offerte segnano il passo rispetto ai Paesi più virtuosi d’Europa. La diffusione è al 14,5%, il che ci piazza all’ultimo posto dei Paesi del G7 e anche dei 27 membri dell’Unione europea».
Nel 2007 il tasso di crescita della banda larga in Italia era del 3%, il livello più basso d’Europa con l’eccezione del Lussemburgo. Poi è arrivato il nuovo governo e il viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani, assessore del Comune di Monza, ha preparato un piano da 800 milioni in cinque anni. Entusiasta, ha dichiarato non più tardi del 25 settembre 2009: «Il governo ritiene di poter digitalizzare il Paese entro il 2012 e di farlo anche prima di altre nazioni». Quando però gli 800 milioni sono stati messi sul binario morto (servono forse per altre cose, come tappare il buco degli stipendi per i forestali calabresi?) non ha fatto una piega: «Il blocco dei fondi da parte del Cipe è un falso problema. Il piano è partito e va avanti». Campa cavallo. La Finlandia annuncia che fra qualche anno garantirà a tutti i cittadini la connessione a 100 mega e noi siamo sempre alle prese con le stesse sardine. Con tutto il rispetto per le sardine.
Sergio Rizzo - 9 novembre 2009
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