Un tempo c’erano i "curriculum", che andavano scritti in una forma particolare, e che servivano per presentare se stessi alle aziende professionalmente parlando, sperando che questa presentazione fosse in qualche modo interessante. Oggi, nell’era multimediale, invece del curriculum c’è Linkedin, un social network il cui scopo è quello di costruire una rete di relazioni tali da poter favorire la ricerca di un lavoro. E le imprese "pescano" nel sempre più ampio parco delle domande professionali che si trovano sul sito, per fare delle offerte di lavoro. Un network professionale, dunque, un sito di autopromozione, ma anche una comunità in cui chi opera in settori diversi del mondo del lavoro può trovare i suoi simili e confrontarsi con loro.
Linkedin ha sette anni ma già più di cinquanta milioni di utenti sparsi in duecento paesi del mondo, e la sua crescita è esponenziale, con una media di centomila nuovi utenti ogni mese. Al "comando" di Linkedin, "a place for serious business people to do serious business" come si legge nel sito, un posto dove si lavora seriamente insomma e solo le persone serie sono accolte, c’è un amministratore delegato, Jeff Weiner, che arriva da Yahoo, conosce bene il mondo di Internet e sembra avere le idee chiare su come far crescere l’azienda fondata da Reid Hoffman (attuale vicepresidente di PayPal), e valutata oggi circa un miliardo di dollari.
Innanzitutto Weiner ha molto chiara la differenza tra LinkedIn e gli altri social network come Facebook e Twitter: «Su LinkedIn c’è un network di professionisti, che non vuole sapere cosa fanno gli altri nella loro vita privata, che non vogliono vedere foto delle vacanze o dei bambini. Vogliono essere collegati con altri professionisti del loro campo, e sanno che noi offriamo esattamente questo».
Insomma, Linkedin non è fatta per perdere tempo, non serve per trovare vecchi compagni di classe (anche se per la verità una piccola sezione per le "reunion" c’è) ma nuovi datori di lavoro, serve per creare occasioni professionali non feste della rimembranza. «Serve per il lavoro, non per l’amicizia», dice ancora Weiner.
Come funziona? Lo scopo di Linkedin è quello di consentire agli utenti di costruire una rete di contatti di persone che conoscono e delle quali si fidano nel mondo del lavoro. Questa rete può essere usata anche per contattare persone che non si conoscono direttamente ma che possono essere contattate attraverso altri contatti "fidati", allargando così il proprio network professionale e facendo girare in ambiti più ampi e diversi il proprio "curriculum" elettronico, che viene compilato da ogni utente al momento dell’iscrizione al sito. Più di trenta milioni di utenti sono americani, una dozzina arrivano dall’Europa, il resto dalle altre aree del mondo. Nulla a che vedere con i 300 milioni di iscritti a Facebook ma Weiner tiene a sottolineare che nel caso di Linkedin «è la qualità degli utenti che conta». Secondo i suoi dati l’80 per cento degli utenti è laureato, il 60% è un "decision maker" nell’azienda in cui lavora, «e ogni azienda delle 500 elencate da Fortune è rappresentata». Gli utenti perfetti per gli investitori pubblicitari, ai quali Linkedin, servizio totalmente gratuito, punta per guadagnare, come ha dimostrato parlando a Cannes alla festa della pubblicità davanti ad una platea di agenzie di tutto il mondo. «Linkedin funziona bene», tiene a sottolineare, «siamo andati in utile nel 2008, lo saremo anche nel 2009».
In realtà proprio per conquistare nuovi utenti Linkedin mescola sempre di più gli elementi del classico social networking con quelli della ricerca professionale, per far restare sul proprio sito gli utenti e utilizzare la rete anche per scopi meno professionali. In quest’ottica ha aggiunto la possibilità di utilizzare altri software in connessione con il sito, di aggiungere i blog, o anche di avere la "Amazon reading list" per indicare i libri più letti. E sta allargando il campo d’azione anche alle applicazioni mobili, per raggiungere il gran mare degli utenti degli smart phones: «Vogliamo essere ovunque ci sono professionisti, ci piacerebbe essere ubiqui».
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