Il regime fascista fu uno dei fautori del cambiamento delle abitudini degli italiani a tavola inventando le sagre e le rassegne dei prodotti per una cucina "autarchica" e promuovendo la tendenza al mangiar fuori in occasione di celebrazioni e viaggi come quelli dei treni popolari, dei dopolavoro, delle associazioni sportive e studentesche. Ne è un esempio perfetto la prima edizione nel 1931 della Guida Gastronomica Italiana a cura del Touring Club Italiano, dove si conduce il viaggiatore-turista alla scoperta dei prodotti locali regionali. Anche in Romagna - come in tutta l’Italia - fu combattuta la "guerra" alla carne per motivi di salute e... per la difficoltà che la gente comune aveva nel procurarsene dato il costo. "La carne ingrassa e può portare alla sterilità" oppure "si muore più facilmente di indigestione che di fame" sono motti e falsi miti del tempo della propaganda fascista alle prese con l’educazione alimentare. Il regime promosse i prodotti nazionali e i risultati furono l’utilizzo enorme di zuppe di verdura, frittate, minestroni, formaggio, riso e pane. Un risultato positivo fu certamente l’enorme slancio dato alla ricerca sulle tipologie di sementi e la selezione delle qualità di grano. La carne, quando c’era, si presentava solo la domenica a pranzo (o nelle feste canoniche) e la differenza tra i ceti era naturalmente enorme anche nell'alimentazione, un detto del tempo diceva "se un povero mangia una gallina, o è ammalato il povero o è ammalata la gallina". A questo proposito il brodo era in realtà quasi sempre di dado - invenzione del periodo - con verdure, riso o pasta e la carne lessata di tagli più o meno nobili con aggiunta di parti animali. I dolci comparivano veramente solo nelle case della borghesia, dei nobili o dei contadini che possedevano la terra. La popolazione in generale si cibava di polenta, uova, patate, fagioli, pancetta (rara), verdure impanate con un po’ di farina o cotte nel lardo. Le famiglie che vivevano nelle zone appenniniche erano quelle che mangiavano sicuramente peggio. Il caffè era spesso surrogato e il "caffè-caffè" molto ricercato. Il ventennio stimolò anche il riciclo e gli avanzi venivano riproposti, riscaldati, leggermente fritti, o lavorati, in tutti i casi guardando foto dell’epoca noterete la differenza tra lavoratori e "signori", non solo nell'abbigliamento, ma anche in un certo "benessere" delle forme. Pubblicato su L'Informazione-Il Domani di domenica 19 aprile 2009
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