È il nuovo «bad boy» cattivo solo in campo
Insultato, criticato, la società lo sta aiutando a limitarsi un po’ nelle sue reazioni
MILANO —Il nuovo bad boy del pallone, che raccoglie un’incredibile unanimità di critiche presso avversari, tifosi e moralisti sempre in servizio, non è un santo (è troppo giovane e comunque noi non ne conosciamo neanche di anziani) ma sa essere diverso da come lo vediamo in campo. Fuori infatti Mario Balotelli è talmente cattivo che a Natale ha passato le vacanze in una favela di Salvador de Bahia; che l’estate scorsa è stato in un campo ecologico del Wwf in Sicilia; che un giorno è passato dal canile, ha visto Lucky, una cagnetta abbandonata, e se l’è portata a casa; che la sera spesso va a trovare i vecchi compagni della Primavera al Centro sportivo dei giovani interisti, zona Affori, a pochi passi da casa sua, dove vive da solo da un anno e mezzo; che in spogliatoio, fra una cazziata di Materazzi, uno sfottò di Chivu e un grugnito di Ibrahimovic (che a volte lo inseguirebbe a calci), viene ancora trattato più come una mascotte che come l’apprendista fuoriclasse quale è.
Insultato, criticato, la società lo sta aiutando a limitarsi un po’ nelle sue reazioni
MILANO —Il nuovo bad boy del pallone, che raccoglie un’incredibile unanimità di critiche presso avversari, tifosi e moralisti sempre in servizio, non è un santo (è troppo giovane e comunque noi non ne conosciamo neanche di anziani) ma sa essere diverso da come lo vediamo in campo. Fuori infatti Mario Balotelli è talmente cattivo che a Natale ha passato le vacanze in una favela di Salvador de Bahia; che l’estate scorsa è stato in un campo ecologico del Wwf in Sicilia; che un giorno è passato dal canile, ha visto Lucky, una cagnetta abbandonata, e se l’è portata a casa; che la sera spesso va a trovare i vecchi compagni della Primavera al Centro sportivo dei giovani interisti, zona Affori, a pochi passi da casa sua, dove vive da solo da un anno e mezzo; che in spogliatoio, fra una cazziata di Materazzi, uno sfottò di Chivu e un grugnito di Ibrahimovic (che a volte lo inseguirebbe a calci), viene ancora trattato più come una mascotte che come l’apprendista fuoriclasse quale è.
Questo ovviamente non giustifica ciò che di negativo combina allo stadio (gestacci agli arbitri, insofferenze verso gli avversari ai quali dedica irrisioni ricavando falli e giudizi feroci, ultimo quello del solitamente pio Legrottaglie), ma può aiutare a capire perché lo faccia. Mario, di base, è uno che pensa agli affari suoi, è sicuro di sé e dei propri mezzi e non perde occasione per dimostrarlo al mondo e poi riderne con gli amici al bar. Avendo 18 anni, lo fa come si fa all’oratorio, senza contenersi, non essendo la sottrazione un’operazione facile in gioventù. A ben vedere, nel calcio nulla è grave come sembra, neanche un neoricco giocatore diciottenne che esce dalla Pinetina in cabrio scoperta un giorno di pieno gennaio. Ma la cosiddetta «amplificazione mediatica » appunto amplifica, preferisce parlare di linguacce anziché di rovesciate, di simpatia/antipatia anziché di capacità. Mario ci mette del suo, con la cabrio ma soprattutto con un carattere che lui stesso ha definito «stupido», e il gioco è fatto: «Passo per spaccone solo perché sono un istintivo».
Sono scenari da nuovo Materazzi. Insultato a prescindere, toccato nei punti dolenti personali (la mamma scomparsa per Marco, la pelle nera per Mario), adorato dai propri tifosi e odiato da tutti gli altri, anche Balotelli è vittima di una strana inversione dell’etica calcistica. Colpevole non è Zidane che, per reazione, cerca l’autopsia di Materazzi da vivo con una testata nello sterno, ma Materazzi che dice qualcosa sulla sorella di Zidane. E colpevole non è Tiago che per reazione attenta la caviglia di Balotelli, ma Balotelli che ha ecceduto in dribbling e tunnel, peraltro non vietati dai regolamenti. Di solito insegnano che nello sport la provocazione può far parte del gioco, la reazione violenta no. Con questi due signori, però, le regole cambiano, il mondo si capovolge e la faccia da schiaffi finisce per pesare più della verità. Materazzi, dopo molti Tir presi sul naso, con la maturità ha imparato ad abbozzare. Sulla capacità di fare altrettanto si giocherà molto del futuro di Balotelli.
Mario, certo, ha un approccio libero alla vita che lo potrà aiutare. Però il nervo scoperto che trasforma la sua divertita partita in una battaglia contro il mondo è duro da curare. Gli ululati, il «negro di merda», il «mangia le banane », inaccettabili per chiunque, con lui diventano benzina su un fuoco già fin troppo acceso. Forse non serve neanche tirare in ballo l’abbandono subìto a 2 anni dalla famiglia originaria ghanese, i Barwuah, la malattia, la salvezza attraverso la nuova famiglia bresciana, i Balotelli, la difficile integrazione, insomma la sofferenza. Il punto, molto più semplice, è che il razzismo fa giustamente incazzare chi lo subisce, senza bisogno di psicanalisi o sociologie. E fa infuriare ancora di più uno come Mario che ha scelto la cittadinanza italiana, che si sente italiano e che per l’Italia, in nazionale Under 21, gioca e segna pure per chi lo tratta come un animale.
Negro. È cominciata quando stava in C con il Lumezzane, a 15 anni, prosegue ora in serie A. Se l’Italia è fatta così, perché dovrebbe migliorare salendo di categoria? Casomai è il contrario, e le poche centinaia di ultrà del passato diventano i 20 mila juventini di domenica a Torino o la curva romanista a San Siro a marzo. Con, anche qui, l’applicazione del teorema Materazzi: colpevoli non sono stati considerati quelli che facevano «buuh» a Balotelli, ma Balotelli che ha fatto segno loro di stare zitti. «Non è tutta colpa mia, io reagisco alle provocazioni», dice lui. I tifosi lo sanno e ci danno dentro. Mario si innervosisce e estrae il peggio da sé e dagli altri, a volte giocandoci pure compiaciuto, come quando domenica dopo l’intervallo è rientrato in campo per ultimo in clamoroso ritardo, scatenando l’ira dello stadio bianconero.
Siccome qualcuno dovrà pur fermare il circolo perverso, ed è assai difficile che possa farlo il popolo tifoso, all’Inter stanno aiutando Mario a compiere la prima mossa, insegnandogli a limitarsi come può. «Non mi piace come si comporta con gli arbitri, anche se posso capire cosa prova», ha detto José Mourinho. Benché abbia spesso chiamato personalità quello che gli altri definiscono arroganza, Mou non lo ho mai difeso a priori e lo ha saputo anche trattare duramente, escludendolo di squadra quando faceva l’anarchico e il presuntuoso senza testa e restituendogli il posto che merita quando il ragazzo ha capito i propri errori. Così si è tutti uguali come sogna Mario, con gli stessi diritti e doveri. A 18 anni, la sua partita per ottenere i primi e capire i secondi è appena cominciata. Alessandro Pasini 20 aprile 2009 - Corriere della Sera
Mario, certo, ha un approccio libero alla vita che lo potrà aiutare. Però il nervo scoperto che trasforma la sua divertita partita in una battaglia contro il mondo è duro da curare. Gli ululati, il «negro di merda», il «mangia le banane », inaccettabili per chiunque, con lui diventano benzina su un fuoco già fin troppo acceso. Forse non serve neanche tirare in ballo l’abbandono subìto a 2 anni dalla famiglia originaria ghanese, i Barwuah, la malattia, la salvezza attraverso la nuova famiglia bresciana, i Balotelli, la difficile integrazione, insomma la sofferenza. Il punto, molto più semplice, è che il razzismo fa giustamente incazzare chi lo subisce, senza bisogno di psicanalisi o sociologie. E fa infuriare ancora di più uno come Mario che ha scelto la cittadinanza italiana, che si sente italiano e che per l’Italia, in nazionale Under 21, gioca e segna pure per chi lo tratta come un animale.
Negro. È cominciata quando stava in C con il Lumezzane, a 15 anni, prosegue ora in serie A. Se l’Italia è fatta così, perché dovrebbe migliorare salendo di categoria? Casomai è il contrario, e le poche centinaia di ultrà del passato diventano i 20 mila juventini di domenica a Torino o la curva romanista a San Siro a marzo. Con, anche qui, l’applicazione del teorema Materazzi: colpevoli non sono stati considerati quelli che facevano «buuh» a Balotelli, ma Balotelli che ha fatto segno loro di stare zitti. «Non è tutta colpa mia, io reagisco alle provocazioni», dice lui. I tifosi lo sanno e ci danno dentro. Mario si innervosisce e estrae il peggio da sé e dagli altri, a volte giocandoci pure compiaciuto, come quando domenica dopo l’intervallo è rientrato in campo per ultimo in clamoroso ritardo, scatenando l’ira dello stadio bianconero.
Siccome qualcuno dovrà pur fermare il circolo perverso, ed è assai difficile che possa farlo il popolo tifoso, all’Inter stanno aiutando Mario a compiere la prima mossa, insegnandogli a limitarsi come può. «Non mi piace come si comporta con gli arbitri, anche se posso capire cosa prova», ha detto José Mourinho. Benché abbia spesso chiamato personalità quello che gli altri definiscono arroganza, Mou non lo ho mai difeso a priori e lo ha saputo anche trattare duramente, escludendolo di squadra quando faceva l’anarchico e il presuntuoso senza testa e restituendogli il posto che merita quando il ragazzo ha capito i propri errori. Così si è tutti uguali come sogna Mario, con gli stessi diritti e doveri. A 18 anni, la sua partita per ottenere i primi e capire i secondi è appena cominciata. Alessandro Pasini 20 aprile 2009 - Corriere della Sera
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