Sarà capitato a tutti, seduti al ristorante, di rimanere alcuni secondi in silenzio in un misto tra meraviglia e adorazione, momenti in cui avete colto tutta l’armonia, i colori, i profumi, la consistenza, l’architettura e la passione contenuti nel piatto che avevate di fronte. E di essere stati indecisi sul da farsi, tra il prendere la posata e perdere per sempre l’opera che vi stava davanti, o lasciare la portata così, intonsa, per appagare fino in fondo una sensazione personale difficilmente descrivibile. Vivere questa esperienza significa comprendere appieno il significato del “bello da mangiare” e quindi anche il tema del Baccanale di questo anno. Rotti al fine gli indugi poi, avrete avuto la conferma di gustare pure il buono... Quando si ha la passione per la cucina, si desidera andare per ristoranti per vivere un “viaggio” a tutto tondo che soddisfi lo spirito prima del palato, in grado di farci scoprire qualche piatto che provochi un’emozione che rimanga indelebile nei nostri ricordi come il piatto “indimenticabile“. In questi casi si spera di incontrare il maestro di cucina, l’artista, per scambiare qualche opinione e conoscere qualche particolare inedito della sua esperienza o di quel piatto specifico. Il “gastronauta” – uso sempre questa felice definizione coniata dal giornalista enogastronomico Davide Paolini - si appresta a vivere questi momenti con lo stesso stato d’animo con cui si avvicina ad una mostra di pittura, un percorso esperienziale che, spera, lo lasci un po’ arricchito dentro al suo termine. Nel suo itinere – a differenza di un turista che trova, il gastronauta cerca -alla scoperta del buono, del genuino e anche del bello, è concorde con l’antico adagio che recita “anche l’occhio vuole la sua parte”. Ugualmente ritiene la cucina una forma d’arte, applicata, come l’abbigliamento, l’architettura e il design, perché adempie da un lato a esigenze funzionali, nel caso del cibo la funzione biologica della nutrizione, e dall’altro ad esigenze estetiche. E a giusta ragione è convinto e sostiene che la cucina è per definizione Cultura, perché narra e conserva la storia dei popoli, le sue tradizioni, testimoniando il continuo mutare nel loro progredire. D’altronde il cibo è sempre stato coinvolto nell’arte in generale, cito a caso e ad esempio nella pittura dal ‘500 in avanti – Bruegel e Arcimboldo i capostipiti - nella letteratura il “Manifesto della cucina futurista” di Marinetti o il più recente scrittore Camilleri che fonde i suoi romanzi in modo indissolubile con la cucina. O, ancora, come all’inizio degli anni ‘70, nascendo l’espressione nouvelle cuisine – poi purtroppo degenerata, ma non accade forse così a volte nell’arte in generale ? - si iniziò a definire uno stile culinario di un gruppo di chef di talento, tra i quali Bocuse e Guérard, dove il momento più importante dell’elaborazione gastronomica non era più la perfetta applicazione di regole, ma la creatività, la capacità di accostare elementi inusuali, per ottenere nuove sensazioni e nuove armonie. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Sabato Sera DUE il 22 novembre 2008
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