La tradizione legata ad Ognissanti e quindi alle ricorrenze dei primi di novembre nascono nell’antichità e in Romagna si sviluppano principalmente grazie all’afflusso dei componenti delle legioni romane che Cesare, di ritorno dalla Gallia, premiò regalando loro – come era uso fare allora – appezzamenti di terra da coltivare. Forse non tutti sanno queste legioni, come quasi tutte da un certo momento in poi , erano composte da “barbari” (come erano definiti dai romani tutti i cittadini dell’impero che non fossero compresi nel territorio dell’Urbe, che andò allargandosi nel tempo). I legionari di Cesare, nella fattispecie, erano Gallici e quindi portarono con loro, in Romagna, le tradizioni celtiche ancora oggi riscontrabili in numerose sfumature dei nostri usi e costumi. Quindi prima che Colombo partisse per l'America, la festa di Halloween veniva festeggiata con altro nome e caratteristiche non troppo dissimili in varie parti d'Europa, fra cui anche l'Italia settentrionale e la Romagna.
Essendo una festa che esorcizzava la paura della morte, nel nostro territorio in queste giornate, venivano messe in atto diverse usanze tese all'accoglimento dei trapassati che in quel periodo tornavano tra i vivi nelle loro case, che coinvolgevano la casa, ma pure gli animali e la terra. Ad esempio i contadini, nella mattina di questa festa, si alzavano presto per lasciar il posto ai morti e per l'occasione si metteva nei letti biancheria pulita e profumata. Alla sera veniva invece loro preparato del cibo e nella vigilia dei morti non si sparecchiava la tavola. Veniva lasciato tutto pulito ed ordinato, il pane fresco già tagliato. I contadini romagnoli usavano altresì mangiare proprio delle fave in questo anniversario, perché si riteneva che questa pianta avesse il potere di rafforzare la memoria, così che nessuno dimenticasse i propri defunti. Si mangia quindi la fava secca lessata, condita di cotiche e rosmarino. E sempre la fava, veniva posta sui davanzali in ciotole ricolme, per gli ignoti transitanti, altrimenti potevano venir poste negli angoli delle strade bigonci o ciotole piene di ceci e lupini lessi. Altra tradizione era quella di confezionare il ripieno dei cappelletti privo di carne, utilizzando quindi formaggi quali il raviggiolo e da qui la differenza con il tortellino emiliano in cui la carne è sempre presente. Altro piatto tradizionale erano i maltagliati insaporiti con l'alloro e il vino rosso.
Le offerte per i defunti potevano venir poste anche agli angoli delle strade strade: bigonci o ciotole piene di ceci e lupini lessi.
Altra tradizione consisteva anche nel portare una certa quantità di grano alla chiesa parrocchiale stendendolo sull'avello dei propri morti e collocandovi una candela accesa. Oppure veniva posta una bigoncia dietro la porta della chiesa, dove chi poteva, metteva del grano. Un’ulteriore usanza, che ci riporta a certe “mode” rispolverate senza conoscerne la genesi, era quella legata alle offerte fatte ai morti, lasciandole sulle tombe o dandole a chi li impersonava bussando alla porta di casa per una questua rituale, perché si ricordassero di pregare per i defunti. Solo che, al posto dei dolcetti, legumi bolliti. Anche le zucche appartengono alla tradizione e ci sono numerose testimonianze secondo cui nella prima metà di novembre si usava collocare nottempo nei crocicchi, o in altri luoghi del paese, zucche svuotate ed intagliate a forma di faccia, con dentro una candela accesa che servivano a a"spaventare le streghe. Possiamo quindi dire che le usanze tanto in voga negli ultimi anni sono di fatto un ritorno – con caratteristiche un po’ troppo “gioiose” perché nella tradizione la festa non aveva nulla di allegro – alle nostre radici.
Le fave comunque sono sempre state legate al culto dei morti per la loro capacità di evocare la continuità della vita che proprio dalla morte trae nuovo impulso, in un ciclo di eterno ritorno. Quindi un anello di congiuntura tra la vita e la morte. Oggi di tutto questo, a parte alcuni aspetti allegorici, rimangono solo le fave dolci, detti "Fave dei morti", dolcetti che, insieme a focacce e pani anch’essi dolci, venivano offerti in dono, nelle notti precedenti la ricorrenza dei morti, alle fate.
Essendo una festa che esorcizzava la paura della morte, nel nostro territorio in queste giornate, venivano messe in atto diverse usanze tese all'accoglimento dei trapassati che in quel periodo tornavano tra i vivi nelle loro case, che coinvolgevano la casa, ma pure gli animali e la terra. Ad esempio i contadini, nella mattina di questa festa, si alzavano presto per lasciar il posto ai morti e per l'occasione si metteva nei letti biancheria pulita e profumata. Alla sera veniva invece loro preparato del cibo e nella vigilia dei morti non si sparecchiava la tavola. Veniva lasciato tutto pulito ed ordinato, il pane fresco già tagliato. I contadini romagnoli usavano altresì mangiare proprio delle fave in questo anniversario, perché si riteneva che questa pianta avesse il potere di rafforzare la memoria, così che nessuno dimenticasse i propri defunti. Si mangia quindi la fava secca lessata, condita di cotiche e rosmarino. E sempre la fava, veniva posta sui davanzali in ciotole ricolme, per gli ignoti transitanti, altrimenti potevano venir poste negli angoli delle strade bigonci o ciotole piene di ceci e lupini lessi. Altra tradizione era quella di confezionare il ripieno dei cappelletti privo di carne, utilizzando quindi formaggi quali il raviggiolo e da qui la differenza con il tortellino emiliano in cui la carne è sempre presente. Altro piatto tradizionale erano i maltagliati insaporiti con l'alloro e il vino rosso.
Le offerte per i defunti potevano venir poste anche agli angoli delle strade strade: bigonci o ciotole piene di ceci e lupini lessi.
Altra tradizione consisteva anche nel portare una certa quantità di grano alla chiesa parrocchiale stendendolo sull'avello dei propri morti e collocandovi una candela accesa. Oppure veniva posta una bigoncia dietro la porta della chiesa, dove chi poteva, metteva del grano. Un’ulteriore usanza, che ci riporta a certe “mode” rispolverate senza conoscerne la genesi, era quella legata alle offerte fatte ai morti, lasciandole sulle tombe o dandole a chi li impersonava bussando alla porta di casa per una questua rituale, perché si ricordassero di pregare per i defunti. Solo che, al posto dei dolcetti, legumi bolliti. Anche le zucche appartengono alla tradizione e ci sono numerose testimonianze secondo cui nella prima metà di novembre si usava collocare nottempo nei crocicchi, o in altri luoghi del paese, zucche svuotate ed intagliate a forma di faccia, con dentro una candela accesa che servivano a a"spaventare le streghe. Possiamo quindi dire che le usanze tanto in voga negli ultimi anni sono di fatto un ritorno – con caratteristiche un po’ troppo “gioiose” perché nella tradizione la festa non aveva nulla di allegro – alle nostre radici.
Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 2 novembre 2008
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