In qualità di membro dell’Accademia Italiana della Cucina ritengo interessante parlare di una ricerca realizzata dal Centro Studi dell’Accademia stessa - che è Istituto Culturale “no profit” - su un appuntamento che forse molti potrebbero pensare sia un rito dimenticato o presente ormai solo in alcuni territori: parliamo del pranzo della domenica. Al contrario, un po' a sorpresa, lo studio conferma come questo appuntamento sia ancora attuale e vivo nelle abitudini delle famiglie italiane. Emerge dai dati raccolti, che il 52 per cento delle famiglie tutte le domeniche si siede a tavola con parenti o amici per assaporare menù e piatti che sono praticamente immutati nel tempo, dagli antipasti seguiti da pastasciutta pasta ripiena o in brodo, agli arrosti vari con patate o i bolliti con l'intramontabile insalata, alle crostate, torte di mele, budini, tiramisù o i classici pasticcini sul cabaret comprati nella migliore pasticceria. Protagonisti assoluti sono i manicaretti tradizionali, dai segreti tramandati in famiglia, realizzati soprattutto da mamme/suocere, zie e nonne ancora in gran forma. Piatti simili in tutto il paese, diversi nella realtà perché la cucina italiana non è solo una cucina regionale, ma anche territoriale, zonale, in una frammentazione che diventa però ricchezza e patrimonio storico-culturale. Lo studio, che ha coinvolto anche tutte le Delegazioni in Italia, ha consentito di prendere in esame un campione molto rappresentativo delle famiglie del paese. Ne è uscito che il pranzo della domenica è in verità un classico dei nostri appuntamenti di convivialità, una sorta di cerimoniale amato – forse qualche volta anche subito – sicuramente diffuso in ogni angolo parte del nostro paese. La domenica insomma è vietata a surgelati, fast food e ristoranti, a testimonianza di ciò provate a cercare un ristorante aperto a mezzogiorno: buona fortuna!. Altri dati dello studio dicono che intorno al tavolo di casa, alla domenica, si raccoglie in media un gruppo di 5 persone, con punte anche tra i 7 e i 10 quando si ritrovano nonni, zii, genitori e nipoti. Naturalmente la tavola a cui si fa riferimento è nel 70%, dei casi quella dei genitori, per il 17% dei figli, per il 4% di altri parenti o amici. Solo per un 5% circa il luogo ideale è quella del ristorante. Si può quindi dire che il pranzo della domenica resta inossidabile, specchio di un paese che cambia rimanendo però fedele a se stesso. Ritengo che in questo appuntamento “tradizionale” si possa leggere in qualche modo la nostra storia con l’evoluzione dei costumi e della cultura gastronomica. A partire dai primi del novecento fino agli anni '50 dove la carne era un lusso e si consumava – quelli che potevano - sotto forma di arrosti, brasati o bolliti, solo la domenica, ai tempi del “boom economico” con le prime “gite fuori porta” e i primi picnic, quando dalle città si spostavano in campagna – ricordo molto bene queste trasferte al fiume o negli Appennini – file di auto con plaid, piatti, stoviglie e cibarie. Passando poi agli anni Settanta dove subentra la nouvelle cuisine a quella tradizionale, sull’onda lunga della contestazione in cui tutto doveva cambiare, per arrivare agli anni '80 dove, vuoi per la perdita dei valori, per la “crisi della famiglia”, per il diffondersi delle diete e per l'affermarsi di cibi precotti e surgelati – il tempo comincia a scarseggiare - il pranzo della domenica subisce un calo di popolarità. Con gli anni '90 si assiste ad un ritorno alle origini, si esaltano i sapori genuini, i piatti della nonna che sembrano dimenticati e tra la fine dell’ultimo decennio e il nuovo secolo è tutto un fiorire di libri e nuove pubblicazioni di cucina, di trasmissioni tematiche, di Chef che impazzano nei media. E’ una sorta di nuovo Rinascimento Gastronomico in cui gli italiani si appassionano a quest’arte, in cui si elaborano ricette innovative ma nel solco delle tradizioni locali, si riscoprono e valorizzano i prodotti e i vitigni del territorio. Il pranzo della domenica, mai veramente abbandonato, torna pertanto ad avere un ruolo importante di (ri)unione e di ritorno alle nostre tradizioni. Magari – visto che i tempi cambiano – con sempre più attenzione a ingredienti di qualità, prodotti biologici, locali, stagionali e porzioni ... meno abbondanti. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 9 novembre 2008
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