Le prime avvisaglie c’erano state mesi orsono quando, a Imola, ho notato che un ristorante cinese era diventato giapponese. Subito ho pensato un po’ compiaciuto che il mio considerare la cucina un’arte che unisce era giusta. Di fatto la storica inimicizia sino-giapponese, derivante soprattutto dalle scuse mai ricevute dal governo di Tokyo alla Cina per lo stupro sistematico di 20.000 donne cinesi a Nanchino nel ’39 ad opera delle truppe del Sol Levante, era stata cancellata nel giro di poche ore grazie proprio al potere della gastronomia.
Quando alcune settimane fa però ho letto su un settimanale locale che c’è l’intenzione di aprire un altro ristorante di Sushi, ho capito. Ci siamo. La moda del cibo giapponese è arrivata anche qui. Il Giappone da noi ha avuto influenze ondivaghe, a flussi intermittenti. Tutto ha inizio negli anni ’70 con l’apertura delle prime palestre per l’insegnamento delle arti marziali, nel giro di pochi anni dilagarono in tutta l’Italia. Di nuovo negli anni ottanta i film di Akira Kurosawa divennero il “must” per intellettuali e “radical-chic”. Tutti a inneggiare a questo filone. Kurosawa si portò appresso anche una certa letteratura legata ai Samurai e allo studio dell’Hagakure (il codice dei samurai). Infine negli anni ’90 cominciano ad arrivare – in particolare a Milano e Roma – i primi ristoranti di Sushi. Lentamente, ma inesorabilmente la moda è dilagata, unitamente ai “famigerati” piatti quadrati. Trovo indicativo che moltissimi ristornati cinesi si stiano convertendo – con risultati dubbi – al sushi giapponese: lo strapotere della Cina non riesce a essere così forte in tutti i settori evidentemente.
Ma cos’è il sushi? Brevemente si tratta di una cucina basata su piccoli pezzetti di pesce crudo, ma non solo, accompagnati con riso - cotto con aceto di riso, zucchero e sale - da inzuppare in salsa di soia nella quale è stata stemperata una piccolissima dose di wasabi. Il wasabi è una salsina verde che accompagna molti piatti giapponesi. Esistono vari tipi di sushi, quelli che più attraggono maggiormente l’occidente sono i vari futomaki, hosomaki, uramaki. Si tratta di sushi di varie forme che hanno in comune la presenza di un’alga scura - chiamata nori - intorno al riso o all’interno del pesce. Questi “piatti” hanno vari tipi di guarnizione quali ad esempio: tonno pregiato, salmone, polpo, uova di pesce, anguilla, gamberetti, frittata, avocado, cetriolo. Se vi capiterà di frequentare questi locali troverete anche il termine sashimi che è, banalmente, pesce crudo senza nient’altro. L’arte del sashimi è nella filettatura, cioè nel modo in cui viene tagliato e per mangiare un buon sashimi è fondamentale che il pesce sia fresco e di qualità. Ecco su questo punto, invece non banale, molti esercizi improvvisati o riciclati distruggono tutta la “poesia” che i cultori di questa cucina possono avere. La mia impressione è che molte persone in verità non siano in grado di giudicare questo elemento – impressione acquisita dai giudizi più disparati che nascono durante una cena a base di pesce “normale” – e pertanto tutto passa in secondo piano di fronte al “fare tendenza” perché si mangia sushi. Con il sushi infine si beve sake, freddo o caldo, (bevanda alcolica tipica giapponese realizzata dal riso) oppure tè verde bollente.
Tenete presente che in un vero ristorante giapponese i prezzi non sono popolari, tutt’altro. Proprio perché si dovrebbe usare pesce crudo, quindi freschissimo, il costo sale. In Italia capita di sovente, ma quasi sarebbe inutile sottolinearlo, viene immediatamente recepita e applicata la questione del prezzo, per la qualità ci si pensa strada facendo…
Comunque preparatevi a farvi trascinare come agnelli sacrificali a provare il benedetto Sushi, molti di voi sconteranno l’imperdonabile errore di dire che non lo avete mai mangiato. Troverete la non richiesta disponibilità di qualche amico che vorrà farvi vivere un’imperdibile esperienza di cui voi in realtà avreste fatto volentieri a meno. Nel caso poi siate un minimo identificati come buongustai o gastronauti sarete inesorabilmente colpiti da una frase, come una frustata micidiale, che suonerà più o meno così: “…proprio uno come te non ha mai provato il Sushi…”, accompagnato da uno sguardo di leggero compatimento come a dire “e poi vuoi fare l’intenditore”. La cosa più mortificante è che dovrete, probabilmente, pure mentire per non essere tacciati di pochezza culturale e xenofobia gastronomica. Salvo che, trovando un momento di orgoglio, non decidiate di reagire come Fantozzi di fronte all’ennesima proiezione del film sulla corazzata Potemkin e davanti a tutti riusciate a pronunciare “per me il sushi è una c….. bestiale”. Il vantaggio da tutto questa cucina ricercata e molto “fusion” è che ne guadagna la linea, vi sentirete leggeri all’uscita, un poco anche nel portafoglio. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 14 settembre 2008
Quando alcune settimane fa però ho letto su un settimanale locale che c’è l’intenzione di aprire un altro ristorante di Sushi, ho capito. Ci siamo. La moda del cibo giapponese è arrivata anche qui. Il Giappone da noi ha avuto influenze ondivaghe, a flussi intermittenti. Tutto ha inizio negli anni ’70 con l’apertura delle prime palestre per l’insegnamento delle arti marziali, nel giro di pochi anni dilagarono in tutta l’Italia. Di nuovo negli anni ottanta i film di Akira Kurosawa divennero il “must” per intellettuali e “radical-chic”. Tutti a inneggiare a questo filone. Kurosawa si portò appresso anche una certa letteratura legata ai Samurai e allo studio dell’Hagakure (il codice dei samurai). Infine negli anni ’90 cominciano ad arrivare – in particolare a Milano e Roma – i primi ristoranti di Sushi. Lentamente, ma inesorabilmente la moda è dilagata, unitamente ai “famigerati” piatti quadrati. Trovo indicativo che moltissimi ristornati cinesi si stiano convertendo – con risultati dubbi – al sushi giapponese: lo strapotere della Cina non riesce a essere così forte in tutti i settori evidentemente.
Ma cos’è il sushi? Brevemente si tratta di una cucina basata su piccoli pezzetti di pesce crudo, ma non solo, accompagnati con riso - cotto con aceto di riso, zucchero e sale - da inzuppare in salsa di soia nella quale è stata stemperata una piccolissima dose di wasabi. Il wasabi è una salsina verde che accompagna molti piatti giapponesi. Esistono vari tipi di sushi, quelli che più attraggono maggiormente l’occidente sono i vari futomaki, hosomaki, uramaki. Si tratta di sushi di varie forme che hanno in comune la presenza di un’alga scura - chiamata nori - intorno al riso o all’interno del pesce. Questi “piatti” hanno vari tipi di guarnizione quali ad esempio: tonno pregiato, salmone, polpo, uova di pesce, anguilla, gamberetti, frittata, avocado, cetriolo. Se vi capiterà di frequentare questi locali troverete anche il termine sashimi che è, banalmente, pesce crudo senza nient’altro. L’arte del sashimi è nella filettatura, cioè nel modo in cui viene tagliato e per mangiare un buon sashimi è fondamentale che il pesce sia fresco e di qualità. Ecco su questo punto, invece non banale, molti esercizi improvvisati o riciclati distruggono tutta la “poesia” che i cultori di questa cucina possono avere. La mia impressione è che molte persone in verità non siano in grado di giudicare questo elemento – impressione acquisita dai giudizi più disparati che nascono durante una cena a base di pesce “normale” – e pertanto tutto passa in secondo piano di fronte al “fare tendenza” perché si mangia sushi. Con il sushi infine si beve sake, freddo o caldo, (bevanda alcolica tipica giapponese realizzata dal riso) oppure tè verde bollente.
Tenete presente che in un vero ristorante giapponese i prezzi non sono popolari, tutt’altro. Proprio perché si dovrebbe usare pesce crudo, quindi freschissimo, il costo sale. In Italia capita di sovente, ma quasi sarebbe inutile sottolinearlo, viene immediatamente recepita e applicata la questione del prezzo, per la qualità ci si pensa strada facendo…
Comunque preparatevi a farvi trascinare come agnelli sacrificali a provare il benedetto Sushi, molti di voi sconteranno l’imperdonabile errore di dire che non lo avete mai mangiato. Troverete la non richiesta disponibilità di qualche amico che vorrà farvi vivere un’imperdibile esperienza di cui voi in realtà avreste fatto volentieri a meno. Nel caso poi siate un minimo identificati come buongustai o gastronauti sarete inesorabilmente colpiti da una frase, come una frustata micidiale, che suonerà più o meno così: “…proprio uno come te non ha mai provato il Sushi…”, accompagnato da uno sguardo di leggero compatimento come a dire “e poi vuoi fare l’intenditore”. La cosa più mortificante è che dovrete, probabilmente, pure mentire per non essere tacciati di pochezza culturale e xenofobia gastronomica. Salvo che, trovando un momento di orgoglio, non decidiate di reagire come Fantozzi di fronte all’ennesima proiezione del film sulla corazzata Potemkin e davanti a tutti riusciate a pronunciare “per me il sushi è una c….. bestiale”. Il vantaggio da tutto questa cucina ricercata e molto “fusion” è che ne guadagna la linea, vi sentirete leggeri all’uscita, un poco anche nel portafoglio. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 14 settembre 2008
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