In un periodo in cui si parla molto del pericolo di perdere memoria della nostra storia, la Regione Emilia Romagna ha certamente contribuito a dare un segnale forte e importante per la salvaguardia del “ricordo” di un popolo. Durante il “Sana 2008” – il salone internazionale del naturale – tenutosi come ogni anno a Bologna a metà settembre , la Regione ha infatti presentato il network de “I musei del gusto” (http://www.museidelgusto.it/ ) , oltre ad un libro ad essi dedicato. In pratica si tratta di una rete di 19 musei, in cui troviamo dai “nostri” Museo del castagno, Museo all’aperto dell’Olio di Brisighella e Museo della Frutticoltura, fino al Museo del Parmigiano-Reggiano o del Salame Felino.
Trovo l’idea interessante perché offrono una duplice opportunità: una legata appunto alla nostra storia, l’altra alla possibilità di utilizzare tale iniziativa per fare “marketing enogastronomico a rete” a favore di tutto il territorio regionale e per questo, non a caso, molti musei propongono gli stessi itinerari delle Strade dei Vini e dei Sapori. I musei del gusto possono diventare uno strumento che coniuga quindi tradizione e innovazione, divenendo espressione di un’innovativa forma di turismo che intende conservare e scoprire la cultura di un territorio attraverso i suoi prodotti enogastronomici. Anche dal cibo si possono apprezzare le tradizioni, la storia e la cultura di un territorio, la civiltà della tavola contribuisce al mantenimento della memoria di un popolo. D’altronde troviamo un legame sempre più forte tra cibo e cultura perché il cibo è cultura e questo patrimonio ricco di contenuti deriva, mai dimenticarlo, dalla terra. Ecco quindi i musei assumere una funzione di cerniera tra passato e presente, ricordandoci come la nostra storia sia legata ad essa e all’esperienza contadina trasmettendoci, attraverso le emozioni di personaggi veri, le loro facce, le loro mani e quindi il loro lavoro, un giusto orgoglio di appartenenza e il valore di una vita fatta spesso di sacrifici, di rinunce, e anche di lotte, che hanno però permesso di consegnare a noi una terra invidiata da molti. Ci ricordano altresì che certi valori che oggi paiono desueti, sono invece fondamentali per il nostro futuro. I “musei del gusto” ci parlano di cose e di simboli, da come si coltiva un vigneto a come si fabbrica un formaggio, da come si fa l’olio a come si innesta un albero da frutto, ma anche dei valori di socialità che queste pratiche hanno sviluppato fra gli uomini.
Infine, ma non meno importante valorizzano il patrimonio regionale degli stessi prodotti a qualità certificata, costituiti da 26 DOP e IGP e oltre 200 prodotti censiti come “Tradizionali”, eccellenze importanti che contribuiscono a mantenere un’immagine della nostra regione come una terra del “bon vivre”.
Trovo l’idea interessante perché offrono una duplice opportunità: una legata appunto alla nostra storia, l’altra alla possibilità di utilizzare tale iniziativa per fare “marketing enogastronomico a rete” a favore di tutto il territorio regionale e per questo, non a caso, molti musei propongono gli stessi itinerari delle Strade dei Vini e dei Sapori. I musei del gusto possono diventare uno strumento che coniuga quindi tradizione e innovazione, divenendo espressione di un’innovativa forma di turismo che intende conservare e scoprire la cultura di un territorio attraverso i suoi prodotti enogastronomici. Anche dal cibo si possono apprezzare le tradizioni, la storia e la cultura di un territorio, la civiltà della tavola contribuisce al mantenimento della memoria di un popolo. D’altronde troviamo un legame sempre più forte tra cibo e cultura perché il cibo è cultura e questo patrimonio ricco di contenuti deriva, mai dimenticarlo, dalla terra. Ecco quindi i musei assumere una funzione di cerniera tra passato e presente, ricordandoci come la nostra storia sia legata ad essa e all’esperienza contadina trasmettendoci, attraverso le emozioni di personaggi veri, le loro facce, le loro mani e quindi il loro lavoro, un giusto orgoglio di appartenenza e il valore di una vita fatta spesso di sacrifici, di rinunce, e anche di lotte, che hanno però permesso di consegnare a noi una terra invidiata da molti. Ci ricordano altresì che certi valori che oggi paiono desueti, sono invece fondamentali per il nostro futuro. I “musei del gusto” ci parlano di cose e di simboli, da come si coltiva un vigneto a come si fabbrica un formaggio, da come si fa l’olio a come si innesta un albero da frutto, ma anche dei valori di socialità che queste pratiche hanno sviluppato fra gli uomini.
Infine, ma non meno importante valorizzano il patrimonio regionale degli stessi prodotti a qualità certificata, costituiti da 26 DOP e IGP e oltre 200 prodotti censiti come “Tradizionali”, eccellenze importanti che contribuiscono a mantenere un’immagine della nostra regione come una terra del “bon vivre”.
Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Sabato Sera DUE il 25 settembre 2008
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