Si tiene oggi l’ultima giornata della Festa delle Azdore a Dozza. In Romagna le azdore sono un simbolo del nostro territorio, unitamente alla piadina e i bagnini. Solo che ormai, a differenza degli altri due, sono estinte. Questa figura quasi leggendaria si trova raramente e, quando la si incontra, riveste solitamente tutte le caratteristiche di un personaggio “felliniano”.
I più anziani naturalmente le ricordano e le hanno viste all’opera, ma per i più giovani – e parlo già delle generazioni dei primi anni ’60 – sono perlopiù personaggi della memoria. Ma chi era l’azdora ? In realtà era la “reggitrice” della casa in particolare nelle famiglie contadine, di solito la moglie dell’azdor, del capo famiglia. E quindi l’azdora era anche la regina del focolare e della cucina. Detta così ha un sapore quasi fiabesco, ma le cose non stavano esattamente in questo modo. La sua vita era segnata da enormi sacrifici – le famigliole non erano “corte” come ora, avere 7-8 persone da accudire era il minimo – e da rapporti interfamiliari a volte incestuosi, finalizzati però al “mantenimento del capitale” – la terra – più che a una morbosità deviata. L’azdora rimane un simbolo positivo di un’operosità instancabile e il cardine del tradizionale nucleo famigliare in Romagna.
Passando al lato più squisitamente gastronomico, era lei cui andavano i meriti quando, seduti a tavola, le persone mangiavano di gusto i buoni piatti che preparava, complice e su sciaddur (il suo matterello). Anche perché in Romagna il “piatto” per eccellenza di tutta la proposta gastronomica è la pasta, naturalmente fatta a mano. Potevano anche non essere delle perfette “sfogline”, ma sicuramente sapevano “tirare” la sfoglia di svariate uova o quella “matta” - senza uova, la nostra è stata a lungo una terra dove la miseria era di casa - evitando che si rompesse e mantenendo la necessaria “rugosità” , che serve a trattenere meglio il condimento , deliziando i palati con le tipiche ricette della nostra terra. E’ quindi intuibile lo stretto legame che intercorre tra le azdore e le sfogline, legame che spesso si sovrappone confondendosi.
Pasta si diceva, in un trinomio tutto romagnolo: azdore, sfogline e minestre (come si usa chiamare la pasta da noi). Quando affermo che sono le minestre il nostro segno di riconoscimento principale lo dico a ragion veduta poiché nessun’altra regione, nelle paste fresche, ha la ricchezza di quelle della tradizione concentrata in Emilia e Romagna che, per la fantasia dei nomi e il numero dei formati, ha un indiscutibile primato.
A sostegno di quanto affermo cito alcune minestre che potranno essere in parte famigliari e rendono l’idea della varietà cui facevo riferimento poc’anzi. Tortelli, cappelletti, ravioli, garganelli, passatelli, tagliatelle, tagliolini, strozzapreti, zuppe, gnocchi e gnocchetti, per citare i più famosi, ma tra le paste “dimenticate”, e oggi più difficili da reperire nelle osterie e ristoranti, sono assolutamente da citare i bigul (bigoli), i curzul (letteralmente lacci da scarpe, pasta quaresimale fatta di solo acqua e farina, ottimi con il sugo di scalogno), i giugétt (giogetti), gli ingannapoveretti, i malfattini, i maltagliati, gli orecchioni, i strichétt (nastrini) e gli scrichètt, i qudrelli, la spoja lorda (minestra “sporca” di raveggiolo, il formaggio che rimaneva dal ripieno dei cappelletti o dei tortelli), i sbrofabérba, i tajadlòtt (una delle minestre più povere del periodo estivo), i voltagabàna, i zavardòn (tra le più “miserabili” ).
Se a tutte queste minestre aggiungiamo le varianti asciutta o in brodo e pensiamo alla vasta tipologia dei condimenti – in base anche alla stagionalità - potete comprendere il “patrimonio” in nostro possesso e che, questo è un mio grande cruccio, non dovrebbe disperdersi. La memoria di un popolo rimane anche attraverso le sue espressioni enogastronomiche e di civiltà della tavola. Fortunatamente le numerose sagre che si tengono nel nostro territorio svolgono questa funzione di tutela nella quasi totalità dei casi.
Pertanto oggi vale la pena fare un “giretto” a Dozza e godersi le specialità preparate dalle azdore, forti naturalmente anche negli altri piatti della nostra tradizione: carne, il castrato in particolare, verdure alla griglia e i dolci in cui segnalo la zuppa inglese, vero baluardo della Romagna che di inglese non ha nulla.
Vi lascio invece con una segnalazione che riguarda proprio le sfogline e la pasta. A Castel del Rio il prossimo sabato, 13 settembre, organizzano una disfida molto interessante tra sfogline, con tanto di giuria, togliendo, di fatto, il monopolio di queste manifestazioni a Massa Lombarda. Fateci un pensierino, viste anche le temperature, per andarci godendo contemporaneamente di frescura e palato. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 7 settembre 2008
I più anziani naturalmente le ricordano e le hanno viste all’opera, ma per i più giovani – e parlo già delle generazioni dei primi anni ’60 – sono perlopiù personaggi della memoria. Ma chi era l’azdora ? In realtà era la “reggitrice” della casa in particolare nelle famiglie contadine, di solito la moglie dell’azdor, del capo famiglia. E quindi l’azdora era anche la regina del focolare e della cucina. Detta così ha un sapore quasi fiabesco, ma le cose non stavano esattamente in questo modo. La sua vita era segnata da enormi sacrifici – le famigliole non erano “corte” come ora, avere 7-8 persone da accudire era il minimo – e da rapporti interfamiliari a volte incestuosi, finalizzati però al “mantenimento del capitale” – la terra – più che a una morbosità deviata. L’azdora rimane un simbolo positivo di un’operosità instancabile e il cardine del tradizionale nucleo famigliare in Romagna.
Passando al lato più squisitamente gastronomico, era lei cui andavano i meriti quando, seduti a tavola, le persone mangiavano di gusto i buoni piatti che preparava, complice e su sciaddur (il suo matterello). Anche perché in Romagna il “piatto” per eccellenza di tutta la proposta gastronomica è la pasta, naturalmente fatta a mano. Potevano anche non essere delle perfette “sfogline”, ma sicuramente sapevano “tirare” la sfoglia di svariate uova o quella “matta” - senza uova, la nostra è stata a lungo una terra dove la miseria era di casa - evitando che si rompesse e mantenendo la necessaria “rugosità” , che serve a trattenere meglio il condimento , deliziando i palati con le tipiche ricette della nostra terra. E’ quindi intuibile lo stretto legame che intercorre tra le azdore e le sfogline, legame che spesso si sovrappone confondendosi.
Pasta si diceva, in un trinomio tutto romagnolo: azdore, sfogline e minestre (come si usa chiamare la pasta da noi). Quando affermo che sono le minestre il nostro segno di riconoscimento principale lo dico a ragion veduta poiché nessun’altra regione, nelle paste fresche, ha la ricchezza di quelle della tradizione concentrata in Emilia e Romagna che, per la fantasia dei nomi e il numero dei formati, ha un indiscutibile primato.
A sostegno di quanto affermo cito alcune minestre che potranno essere in parte famigliari e rendono l’idea della varietà cui facevo riferimento poc’anzi. Tortelli, cappelletti, ravioli, garganelli, passatelli, tagliatelle, tagliolini, strozzapreti, zuppe, gnocchi e gnocchetti, per citare i più famosi, ma tra le paste “dimenticate”, e oggi più difficili da reperire nelle osterie e ristoranti, sono assolutamente da citare i bigul (bigoli), i curzul (letteralmente lacci da scarpe, pasta quaresimale fatta di solo acqua e farina, ottimi con il sugo di scalogno), i giugétt (giogetti), gli ingannapoveretti, i malfattini, i maltagliati, gli orecchioni, i strichétt (nastrini) e gli scrichètt, i qudrelli, la spoja lorda (minestra “sporca” di raveggiolo, il formaggio che rimaneva dal ripieno dei cappelletti o dei tortelli), i sbrofabérba, i tajadlòtt (una delle minestre più povere del periodo estivo), i voltagabàna, i zavardòn (tra le più “miserabili” ).
Se a tutte queste minestre aggiungiamo le varianti asciutta o in brodo e pensiamo alla vasta tipologia dei condimenti – in base anche alla stagionalità - potete comprendere il “patrimonio” in nostro possesso e che, questo è un mio grande cruccio, non dovrebbe disperdersi. La memoria di un popolo rimane anche attraverso le sue espressioni enogastronomiche e di civiltà della tavola. Fortunatamente le numerose sagre che si tengono nel nostro territorio svolgono questa funzione di tutela nella quasi totalità dei casi.
Pertanto oggi vale la pena fare un “giretto” a Dozza e godersi le specialità preparate dalle azdore, forti naturalmente anche negli altri piatti della nostra tradizione: carne, il castrato in particolare, verdure alla griglia e i dolci in cui segnalo la zuppa inglese, vero baluardo della Romagna che di inglese non ha nulla.
Vi lascio invece con una segnalazione che riguarda proprio le sfogline e la pasta. A Castel del Rio il prossimo sabato, 13 settembre, organizzano una disfida molto interessante tra sfogline, con tanto di giuria, togliendo, di fatto, il monopolio di queste manifestazioni a Massa Lombarda. Fateci un pensierino, viste anche le temperature, per andarci godendo contemporaneamente di frescura e palato. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 7 settembre 2008
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