Adoro la pizza come la adorano tutti gli italiani in generale. Gli imolesi non fanno eccezione e lo dimostrano sia il numero di pizzerie-ristoranti, pizzerie al taglio e “take-away” (prendi e porta via) presenti nella nostra città, sia l’affluenza in questi locali. Infatti, benché i rincari effettuati da tutta la ristorazione, alla pizza non si rinuncia e secondo l'associazione dei consumatori (Adoc) nonostante le pizzerie in particolare abbiano aumentato i prezzi mediamente del 20% in un anno, sono quelli che si difendono meglio dalla crisi del settore. Nonostante questi rialzi - ingiustificati in verità sommando il costo degli ingredienti e di esercizio - una famiglia spende sempre meno che andare al ristorante ed è probabilmente anche per questo motivo che le pizzerie risultano nella grande maggioranza, anche nella nostra città, sempre molto frequentate. In pizzeria si pagano mediamente 8 - 9 euro a testa - limitandoci a pizza Margherita e acqua – fino a giungere ai 12 – 13 euro se “vogliamo dare uno schiaffo alla miseria” e chiedere pizze più elaborate, bevendo birra e concedendoci pure un caffè. A parte il prezzo ci sono comunque alcune caratteristiche che fanno la differenza tra una pizzeria ed un’altra.
La prima consiste nella scelta degli ingredienti. Forse molti di noi sono assuefatti, o forse più banalmente distratti o indifferenti, a cogliere le diversità delle materie prime utilizzate per preparare questo prodotto che è un vero e proprio simbolo nazionale, ma certamente nella pizza questi elementi sono il vero spartiacque tra il “buono e il cattivo”. Vi invito quindi a porre attenzione agli ingredienti perché, purtroppo, qualcuno ne approfitta e, nonostante gli aumenti, usa concentrato di pomodoro cinese, olio extravergine tunisino o mozzarelle taroccate – per fare un esempio - al posto di olio di oliva nostrano, pomodoro sanmarzano e mozzarella vera.
Un secondo aspetto non meno importante è il “segreto” – di tutti i pizzaioli – che permette ad una pizza di essere veramente buona, di appagarci nei sapori, nei profumi e nella... digeribilità. Questo “segreto” consiste in alcuni piccoli accorgimenti semplici, ma basilari, quali ad esempio l’evitare di bruciare il lievito con l'acqua troppo calda, il sistemare il sale a corona ben distante dal lievito - diversamente il lievito non si attiva - e il fondamentale lungo impasto con un duro lavoro compiuto dalle mani. In particolare proprio l’impasto e l’esecuzione di qualità fanno della pizza un prodotto altamente digeribile, il problema sta nel fatto che oggi un certo numero di pizzerie ormai utilizza solo impasti industriali “pre-preparati”. Pensateci quando nel pomeriggio o a tarda sera che, dopo alcune ore, dovreste aver finito la digestione vi sentite al contrario ancora appesantiti. Infine un altro aspetto importante consiste nella buona lievitazione grazie ad un forno preriscaldato – c’è chi infila anche una pentola di acqua calda – naturalmente funzionante a legna. Mi auguro non passi mai una norma europea, prospettata qualche tempo fa e che io trovavo demenziale, che richiedeva per motivi di salute la dismissione di tutti i forni a legna nelle pizzerie. Essendo praticamente solo in Italia l’uso della legna (parliamo di ca. 25.000 pizzerie), vi lascio immaginare le conseguenze anche per la identificazione e difesa come prodotto DOP.
Il problema di questi esercizi – parlo in modo generico delle pizzerie con posti a tavola - nasce quando iniziano a proporre servizi extra o (per loro) di lusso e si addentrano nella ristorazione più classica.
In questo caso salta spesso il rapporto prezzo/prestazione perché non sono preparati e mancano di cultura in tal senso. Ormai il 90% delle pizzerie è anche ristorante e tutti ritengono di proporre un’ottima cucina. Così non è. Prima di tutto mentre quando si parla di pizzeria un certo servizio un poco trascurato con mancanze e/o disattenzioni si possono perdonare, quando si “passa” al ristorante ciò non deve più essere accettato. Vi sarà capitato inoltre di uscire con amici che scelgono dal menù ristorante e si vedono recapitare, ad esempio, piatti di pasta annegati nella panna, secondi “senza memoria” con insalatine “strimizzite” e dolci ben farciti di panna montata, cioccolato cremì fuso o lavorazioni “finta nouvelle cousine” nei famigerati piatti quadrati. La mania poi, che ha colpito in verità tutta la ristorazione in generale, di affiancare anche il “famoso” menù di pesce a quello tradizionale, porta a proporre piatti che non sempre fanno onore al nome che portano e al prezzo a cui vengono proposti: non dimentichiamoci mai dove ci troviamo.
Semplicità, proposizione mirata ed un corretto posizionamento del prezzo dovrebbero essere la base su cui costruire qualsiasi offerta enogastronomica per qualsivoglia tipo di esercizio. Ma questa è la teoria, nella pratica molti si perdono e il cliente sembra non accorgersene. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 24 agosto 2008
La prima consiste nella scelta degli ingredienti. Forse molti di noi sono assuefatti, o forse più banalmente distratti o indifferenti, a cogliere le diversità delle materie prime utilizzate per preparare questo prodotto che è un vero e proprio simbolo nazionale, ma certamente nella pizza questi elementi sono il vero spartiacque tra il “buono e il cattivo”. Vi invito quindi a porre attenzione agli ingredienti perché, purtroppo, qualcuno ne approfitta e, nonostante gli aumenti, usa concentrato di pomodoro cinese, olio extravergine tunisino o mozzarelle taroccate – per fare un esempio - al posto di olio di oliva nostrano, pomodoro sanmarzano e mozzarella vera.
Un secondo aspetto non meno importante è il “segreto” – di tutti i pizzaioli – che permette ad una pizza di essere veramente buona, di appagarci nei sapori, nei profumi e nella... digeribilità. Questo “segreto” consiste in alcuni piccoli accorgimenti semplici, ma basilari, quali ad esempio l’evitare di bruciare il lievito con l'acqua troppo calda, il sistemare il sale a corona ben distante dal lievito - diversamente il lievito non si attiva - e il fondamentale lungo impasto con un duro lavoro compiuto dalle mani. In particolare proprio l’impasto e l’esecuzione di qualità fanno della pizza un prodotto altamente digeribile, il problema sta nel fatto che oggi un certo numero di pizzerie ormai utilizza solo impasti industriali “pre-preparati”. Pensateci quando nel pomeriggio o a tarda sera che, dopo alcune ore, dovreste aver finito la digestione vi sentite al contrario ancora appesantiti. Infine un altro aspetto importante consiste nella buona lievitazione grazie ad un forno preriscaldato – c’è chi infila anche una pentola di acqua calda – naturalmente funzionante a legna. Mi auguro non passi mai una norma europea, prospettata qualche tempo fa e che io trovavo demenziale, che richiedeva per motivi di salute la dismissione di tutti i forni a legna nelle pizzerie. Essendo praticamente solo in Italia l’uso della legna (parliamo di ca. 25.000 pizzerie), vi lascio immaginare le conseguenze anche per la identificazione e difesa come prodotto DOP.
Il problema di questi esercizi – parlo in modo generico delle pizzerie con posti a tavola - nasce quando iniziano a proporre servizi extra o (per loro) di lusso e si addentrano nella ristorazione più classica.
In questo caso salta spesso il rapporto prezzo/prestazione perché non sono preparati e mancano di cultura in tal senso. Ormai il 90% delle pizzerie è anche ristorante e tutti ritengono di proporre un’ottima cucina. Così non è. Prima di tutto mentre quando si parla di pizzeria un certo servizio un poco trascurato con mancanze e/o disattenzioni si possono perdonare, quando si “passa” al ristorante ciò non deve più essere accettato. Vi sarà capitato inoltre di uscire con amici che scelgono dal menù ristorante e si vedono recapitare, ad esempio, piatti di pasta annegati nella panna, secondi “senza memoria” con insalatine “strimizzite” e dolci ben farciti di panna montata, cioccolato cremì fuso o lavorazioni “finta nouvelle cousine” nei famigerati piatti quadrati. La mania poi, che ha colpito in verità tutta la ristorazione in generale, di affiancare anche il “famoso” menù di pesce a quello tradizionale, porta a proporre piatti che non sempre fanno onore al nome che portano e al prezzo a cui vengono proposti: non dimentichiamoci mai dove ci troviamo.
Semplicità, proposizione mirata ed un corretto posizionamento del prezzo dovrebbero essere la base su cui costruire qualsiasi offerta enogastronomica per qualsivoglia tipo di esercizio. Ma questa è la teoria, nella pratica molti si perdono e il cliente sembra non accorgersene. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 24 agosto 2008
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