In questa domenica che arriva al termine di un periodo particolarmente festivo per Imola, complice il mese, il Patrono e il Ferragosto, vi intrattengo brevemente sul valore che ricopre la enogastronomia italiana nel nostro paese e nel mondo. Un patrimonio che io riassumo nell’espressione “Civiltà della Tavola”.
Questo capitale che il mondo ci invidia – unitamente a quello artistico e paesaggistico – è il summa di tutte le cucine territoriali, non esiste una cucina italiana, che deve innovarsi pur senza perdersi, coniugando tradizione e innovazione salvaguardando i prodotti tipici delle zone di appartenenza. Allo stesso tempo è sapere, conoscenza, sedimentazione di esperienze secolari, buon gusto, attenzione e amore per la cucina. In sostanza la “Civiltà della Tavola” esprime i saperi di un popolo e serve contemporaneamente a mantenerne memoria, anche per le generazioni future.
Ma cosa concorre al mantenimento e alla salvaguardia di questo nostro capitale enogastronomico ? Provo di seguito ad elencarne gli aspetti salienti.
Innanzi tutto la cultura. La cucina e soprattutto la gastronomia sono cultura, con tutto il loro bagaglio di storia, di tradizione, di forte incisività sulla struttura sociale.
Poi la tradizione, in un mondo sempre più attento ai valori dell’ambiente è fondamentale la difesa e la valorizzazione della cucina regionale legata al territorio, alle sue tradizioni, ai suoi prodotti tipici. Le varie sagre e feste popolari svolgono, ad esempio, un ruolo fondamentale in questo senso a patto che siano sempre e in ogni caso legate al territorio, all’ambiente ed alle autentiche tradizioni locali.
Altro aspetto è la Convivialità, perché il “trovarsi” a tavola deve rimanere un momento d’aggregazione famigliare o di amicizia e non un atto di mera esibizione. Il Convivio deve essere un momento di felice parentesi di conversazione, di gioia, di piacere e di amicizia, senza dimenticare il grande valore educativo della tavola famigliare, elemento essenziale e propedeutico per l’educazione al gusto delle giovani generazioni.
Anche la genuinità dei prodotti agroalimentari è importante perché non rappresenta solo un valore economico, ma assume sempre più i contorni di un’imprescindibile necessità sociale. La qualità e la genuinità vanno di pari passo con la tradizione consolidata nelle coltivazioni e nell’allevamento, frutto d’esperienze millenarie, sia pure con corretti accorgimenti tecnologici. Su questo aspetto si innesta un filone, che non approfondisco oggi per motivi di spazio, su cui occorre mantenere la massima vigilanza: i “falsi gastronomici”, un vero flagello per l’Italia, prodotti meramente commerciali e speculativi di tendenze talvolta anche nocive per la salute.
Altro aspetto è dato dal vino. L’enologia italiana ha fatto passi da gigante sia sul terreno della qualità, sia su quello della commercializzazione e oggi i vini italiani sono apprezzati in tutto il mondo; il vino è ormai considerato un elemento essenziale di una buona gastronomia.
Contrasto alle “mode alimentari”. Questa è un’ epoca contrassegnata in maniera sempre più invasiva da una serie di mode e contro mode che interessano da vicino la gastronomia e che si associano ad una perdita delle tradizioni alimentari, ma soprattutto di precisi punti di riferimento gastronomici (vedi fast food, diete più o meno strampalate o tendenze commerciali).
Vigilanza sulle così dette “tecnologie avanzate”: biodiversità, manipolazioni genetiche, coltivazioni biologiche e altri procedimenti di cui si discute molto, ma allo stato s’ignorano tanto i rischi quanto i benefici. L’avanzata di questi sistemi produttivi e di conservazione rischiano di snaturare sapori, profumi ed anche le componenti organolettiche dei cibi.
Importante è il monitoraggio della ristorazione. In Italia la ristorazione pubblica ha compiuto un grandissimo miglioramento, ma a volte si registrano cadute di autenticità e una sperimentazione fine a se stessa tramite la rivisitazione spesso arbitraria di ricette tradizionali consolidate. Il rischio è quello di cancellare, nell’immaginario collettivo, il buon nome della tavola italiana. Invece il ruolo di una ristorazione d’alta qualità è indispensabile per la formazione del gusto e per la “Cultura della Tavola”.
Infine occorre investire sulle famiglie, la scuola e i giovani. Gli enti e le organizzazioni preposti dovrebbero rendere più aderenti alla realtà sociale i principi di educazione alimentare fin dalle scuole elementari e medie, oggi basati unicamente sulle proprietà nutritive di un ingrediente, dando scarso rilievo alla sua preparazione. Sarebbe invece fondamentale investire su un progetto di educazione alimentare tale da favorire nelle giovani generazioni il gusto e il buon gusto del cibo, il piacere, le “regole” della convivialità e dello stare a tavola, riscoprendo in particolar modo quella famigliare. Investire nelle generazioni future, coinvolgendo contemporaneamente le famiglie, è un punto fondamentale per tramandare e mantenere nel tempo questo patrimonio che contribuisce a costituire quella che oggi viene chiamata “soft economy”. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 17 agosto 2008
Questo capitale che il mondo ci invidia – unitamente a quello artistico e paesaggistico – è il summa di tutte le cucine territoriali, non esiste una cucina italiana, che deve innovarsi pur senza perdersi, coniugando tradizione e innovazione salvaguardando i prodotti tipici delle zone di appartenenza. Allo stesso tempo è sapere, conoscenza, sedimentazione di esperienze secolari, buon gusto, attenzione e amore per la cucina. In sostanza la “Civiltà della Tavola” esprime i saperi di un popolo e serve contemporaneamente a mantenerne memoria, anche per le generazioni future.
Ma cosa concorre al mantenimento e alla salvaguardia di questo nostro capitale enogastronomico ? Provo di seguito ad elencarne gli aspetti salienti.
Innanzi tutto la cultura. La cucina e soprattutto la gastronomia sono cultura, con tutto il loro bagaglio di storia, di tradizione, di forte incisività sulla struttura sociale.
Poi la tradizione, in un mondo sempre più attento ai valori dell’ambiente è fondamentale la difesa e la valorizzazione della cucina regionale legata al territorio, alle sue tradizioni, ai suoi prodotti tipici. Le varie sagre e feste popolari svolgono, ad esempio, un ruolo fondamentale in questo senso a patto che siano sempre e in ogni caso legate al territorio, all’ambiente ed alle autentiche tradizioni locali.
Altro aspetto è la Convivialità, perché il “trovarsi” a tavola deve rimanere un momento d’aggregazione famigliare o di amicizia e non un atto di mera esibizione. Il Convivio deve essere un momento di felice parentesi di conversazione, di gioia, di piacere e di amicizia, senza dimenticare il grande valore educativo della tavola famigliare, elemento essenziale e propedeutico per l’educazione al gusto delle giovani generazioni.
Anche la genuinità dei prodotti agroalimentari è importante perché non rappresenta solo un valore economico, ma assume sempre più i contorni di un’imprescindibile necessità sociale. La qualità e la genuinità vanno di pari passo con la tradizione consolidata nelle coltivazioni e nell’allevamento, frutto d’esperienze millenarie, sia pure con corretti accorgimenti tecnologici. Su questo aspetto si innesta un filone, che non approfondisco oggi per motivi di spazio, su cui occorre mantenere la massima vigilanza: i “falsi gastronomici”, un vero flagello per l’Italia, prodotti meramente commerciali e speculativi di tendenze talvolta anche nocive per la salute.
Altro aspetto è dato dal vino. L’enologia italiana ha fatto passi da gigante sia sul terreno della qualità, sia su quello della commercializzazione e oggi i vini italiani sono apprezzati in tutto il mondo; il vino è ormai considerato un elemento essenziale di una buona gastronomia.
Contrasto alle “mode alimentari”. Questa è un’ epoca contrassegnata in maniera sempre più invasiva da una serie di mode e contro mode che interessano da vicino la gastronomia e che si associano ad una perdita delle tradizioni alimentari, ma soprattutto di precisi punti di riferimento gastronomici (vedi fast food, diete più o meno strampalate o tendenze commerciali).
Vigilanza sulle così dette “tecnologie avanzate”: biodiversità, manipolazioni genetiche, coltivazioni biologiche e altri procedimenti di cui si discute molto, ma allo stato s’ignorano tanto i rischi quanto i benefici. L’avanzata di questi sistemi produttivi e di conservazione rischiano di snaturare sapori, profumi ed anche le componenti organolettiche dei cibi.
Importante è il monitoraggio della ristorazione. In Italia la ristorazione pubblica ha compiuto un grandissimo miglioramento, ma a volte si registrano cadute di autenticità e una sperimentazione fine a se stessa tramite la rivisitazione spesso arbitraria di ricette tradizionali consolidate. Il rischio è quello di cancellare, nell’immaginario collettivo, il buon nome della tavola italiana. Invece il ruolo di una ristorazione d’alta qualità è indispensabile per la formazione del gusto e per la “Cultura della Tavola”.
Infine occorre investire sulle famiglie, la scuola e i giovani. Gli enti e le organizzazioni preposti dovrebbero rendere più aderenti alla realtà sociale i principi di educazione alimentare fin dalle scuole elementari e medie, oggi basati unicamente sulle proprietà nutritive di un ingrediente, dando scarso rilievo alla sua preparazione. Sarebbe invece fondamentale investire su un progetto di educazione alimentare tale da favorire nelle giovani generazioni il gusto e il buon gusto del cibo, il piacere, le “regole” della convivialità e dello stare a tavola, riscoprendo in particolar modo quella famigliare. Investire nelle generazioni future, coinvolgendo contemporaneamente le famiglie, è un punto fondamentale per tramandare e mantenere nel tempo questo patrimonio che contribuisce a costituire quella che oggi viene chiamata “soft economy”. Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 17 agosto 2008
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