Giovanna Nigi
È esistito un tempo in cui i prodotti venivano venduti sfusi, avvolti ognuno in una sua carta specifica, carta paglia per la pasta, il pane, il riso, o carta da zucchero, di un bel colore azzurrino, che per molti anni servì anche a definire quella particolare tonalità di azzurro: color carta da zucchero. Era il tempo in cui le esigenze erano più piccoline, e non ci si vergognava a comprare dal tabaccaio una o due sigarette alla volta.
Un tempo più parco e meno folle, a cui ripensare come modello, in questi periodi di acquisti più oculati. Finalmente -sarà per la crisi economica o per la rinnovata coscienza ecologica?- abbiamo capito che la mole di rifiuti che produciamo è decisamente folle, e che i veri responsabili di un incremento così massiccio e di una politica del consumo tanto dissennata sono gli imballaggi. Il cammino verso uno smaltimento dei rifiuti differenziati passa necessariamente attraverso la riduzione di essi. Sono gli involucri, dalle buste in cellophane alle scatole, alle bottiglie alle "vaschette", ai contenitori di plastica, a pesare più di ogni altra cosa sulla quantità di rifiuti che produciamo ogni giorno. E a far lievitare sensibilmente il prezzo di qualsiasi prodotto.
Progetti all'insegna di "sfuso è bello" sono nati un po' dappertutto, in Italia, dai detersivi alla pasta, alla frutta secca. Il problema è rappresentato dal rischio che tali apprezzabili iniziative restino casi isolati: un'inversione di tendenza in questo senso infatti è utile solamente se i cambiamenti di rotta avvengono su larga scala e a livello nazionale.
I problemi con cui ci si scontra sono essenzialmente quelli della pubblicità: le aziende, infatti, non di rado "remano contro". Se per i consumatori l'abolizione dell'involucro si traduce immediatamente in un doppio vantaggio, economico ed ecologico, lo stesso non si può dire per le aziende che confezionano il prodotto e che tendono a renderlo immediatamente riconoscibile: l'involucro che paghiamo caro a tutti i livelli, è anche un potente veicolo pubblicitario a bassissimo costo (e siamo noi a dovercene fare carico!).
Si potrebbe intervenire sul volume e sul colore, tanto per cominciare, tenendo presente che gli imballaggi più colorati sono anche i più inquinanti, anche se per catturare l'attenzione si fa a gara a usare tutta la gamma di colori disponibili inclusi i fluorescenti.
Certamente non si tratta di un'impresa facile, anche se tentativi in questo senso sono stati fatti un po' dovunque: in Svezia ogni azienda ha dovuto organizzare un settore riservato esclusivamente all'abbassamento dei consumi energetici,e alla riduzione degli sprechi e degli imballaggi.
In Svizzera si sono mossi diversamente, attraverso una marca da bollo applicata sui sacchetti della spazzatura: si paga a seconda dei chili di rifiuto prodotti. Ai consumatori conviene quindi ridurre i rifiuti il più possibile per arrivare a ottimizzare la capienza del sacchetto, e questo ha portato alcune aziende a mettere in commercio confezioni più sottili e più facilmente deformabili.
È esistito un tempo in cui i prodotti venivano venduti sfusi, avvolti ognuno in una sua carta specifica, carta paglia per la pasta, il pane, il riso, o carta da zucchero, di un bel colore azzurrino, che per molti anni servì anche a definire quella particolare tonalità di azzurro: color carta da zucchero. Era il tempo in cui le esigenze erano più piccoline, e non ci si vergognava a comprare dal tabaccaio una o due sigarette alla volta.
Un tempo più parco e meno folle, a cui ripensare come modello, in questi periodi di acquisti più oculati. Finalmente -sarà per la crisi economica o per la rinnovata coscienza ecologica?- abbiamo capito che la mole di rifiuti che produciamo è decisamente folle, e che i veri responsabili di un incremento così massiccio e di una politica del consumo tanto dissennata sono gli imballaggi. Il cammino verso uno smaltimento dei rifiuti differenziati passa necessariamente attraverso la riduzione di essi. Sono gli involucri, dalle buste in cellophane alle scatole, alle bottiglie alle "vaschette", ai contenitori di plastica, a pesare più di ogni altra cosa sulla quantità di rifiuti che produciamo ogni giorno. E a far lievitare sensibilmente il prezzo di qualsiasi prodotto.
Progetti all'insegna di "sfuso è bello" sono nati un po' dappertutto, in Italia, dai detersivi alla pasta, alla frutta secca. Il problema è rappresentato dal rischio che tali apprezzabili iniziative restino casi isolati: un'inversione di tendenza in questo senso infatti è utile solamente se i cambiamenti di rotta avvengono su larga scala e a livello nazionale.
I problemi con cui ci si scontra sono essenzialmente quelli della pubblicità: le aziende, infatti, non di rado "remano contro". Se per i consumatori l'abolizione dell'involucro si traduce immediatamente in un doppio vantaggio, economico ed ecologico, lo stesso non si può dire per le aziende che confezionano il prodotto e che tendono a renderlo immediatamente riconoscibile: l'involucro che paghiamo caro a tutti i livelli, è anche un potente veicolo pubblicitario a bassissimo costo (e siamo noi a dovercene fare carico!).
Si potrebbe intervenire sul volume e sul colore, tanto per cominciare, tenendo presente che gli imballaggi più colorati sono anche i più inquinanti, anche se per catturare l'attenzione si fa a gara a usare tutta la gamma di colori disponibili inclusi i fluorescenti.
Certamente non si tratta di un'impresa facile, anche se tentativi in questo senso sono stati fatti un po' dovunque: in Svezia ogni azienda ha dovuto organizzare un settore riservato esclusivamente all'abbassamento dei consumi energetici,e alla riduzione degli sprechi e degli imballaggi.
In Svizzera si sono mossi diversamente, attraverso una marca da bollo applicata sui sacchetti della spazzatura: si paga a seconda dei chili di rifiuto prodotti. Ai consumatori conviene quindi ridurre i rifiuti il più possibile per arrivare a ottimizzare la capienza del sacchetto, e questo ha portato alcune aziende a mettere in commercio confezioni più sottili e più facilmente deformabili.
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