di Hitchens Christopher da Il Corriere della Sera
Hirsi Ali, ragione laica contro potere clericale A yaan Hirsi Ali è cresciuta in circostanze inimmaginabili per gran parte degli abitanti del mondo «sviluppato». Da piccola, Ayaan è stata soggetta alla rozza tortura della mutilazione genitale. Molti erano gli uomini (e le donne più anziane) che avevano il diritto di picchiarla e che esercitavano tale diritto con piacere. Dopo averle negato l' autonomia persino sulle proprie parti intime, ci si aspettava anche che acconsentisse a qualunque progetto di nozze deciso da altri per lei. Il tutto andava accettato con spirito fatalistico, perché volontà di un essere supremo. Ayaan credeva nell' esistenza di djinn e demoni, nei meccanismi di una cospirazione ebraica internazionale, nella verità della lettera di un solo libro e nella necessità che si dovessero coprire gli arti e i volti delle donne. È stimolante leggere la storia della sua graduale liberazione da simili illusioni e del suo rifiuto finale e definitivo di credere nel soprannaturale. Nell' autunno del 2007, durante una conversazione, abbiamo parlato della triade di mentalità che, a mio avviso, costituiscono il fondamentalismo islamico: autocompiacimento, autocommiserazione e odio di sé. «Nel mondo musulmano l' io esiste a malapena», è stato il suo primo commento, «perché i veri momenti umani sono quelli rubati. Ciò produce ipocrisia, la causa prima dell' autocompiacimento». Ayaan è convinta che la repressione sessuale sia la radice di tutti i problemi collegati, perché «senza libertà sessuale non c' è io». Ne consegue che chiunque voglia avere amor proprio dal punto di vista sessuale si ritrova in rotta di collisione con l' ortodossia religiosa. Il culto della verginità, uno dei vanti del Corano, impone in modo assoluto la supremazia maschile e l' infelicità femminile. Ayaan ha parlato con pacatezza e verecondia, ma in modo chiaro, di come questo culto renda insopportabile la vita delle donne, sia privandole del tutto di una vita sessuale, sia costringendole a ricorrere a espedienti (dolorosa penetrazione anale, ricucitura dell' imene) al contempo pericolosi, sgradevoli e degradanti. «Tra i primi segnali di allarme», mi ha detto Ayaan, «c' è stata la scoperta, quando avevo cinque o sei anni, di mia nonna che, con il sedere all' aria, parlava da sola e si rivolgeva a qualcuno. Pensai che fosse un gioco e cominciai a partecipare, ma lei mi disse che ero una bambina cattiva. Io avrei giurato che, sebbene lei parlasse con qualcuno, lì non c' era nessuno». I culti religiosi spesso enfatizzano il ruolo dei bambini precoci che pronunciano parole di saggezza, ma è altrettanto vero che i bambini possono essere veloci a capire i meccanismi della religione. «L' Islam è molto crudo perché pretende rigorose routine di preghiera ed esercizi. Dovevo partecipare per forza, ma non riuscivo a concentrarmi e quindi mi sentivo in colpa». È proprio questa la sintesi del «sadomasochismo » della religione: fa richieste impossibili e poi condanna al peccato originale chi non riesce a tener loro fede. La paura della punizione eterna è una cattiveria da infliggere a un bambino. Ayaan mi ha detto di non essersi emancipata del tutto dalla sua educazione repressiva fino a quando non si è liberata del terrore dell' inferno. Soltanto dopo avere attraversato quel Rubicone, Ayaan ha potuto dichiarare la sua piena indipendenza. È impossibile essere solo un po' eretici o consentire solo un po' di eresia. La ruota, il rogo e lo schiacciapollici sono tutti infruttuosi contro questa realtà. Basta ammettere un solo dubbio e l' intero edificio minaccia di crollare. Fin dall' aggressione alla società civile sferrata l' 11 settembre 2001, gran parte del mondo «occidentale» si è lanciato nella caccia sfrenata di interlocutori del mondo islamico. Come possiamo «capire» le richieste e le emozioni musulmane? Che cosa abbiamo fatto per meritarci tutto questo odio? Come possiamo scendere a patti con una società che sembra prendere alla lettera i precetti religiosi? La causa dell' arretratezza e della miseria del mondo musulmano non è l' oppressione occidentale ma lo stesso Islam: una fede che proclama il disprezzo per l' Illuminismo e per i valori laici. Insegna l' odio ai bambini, promette una grottesca versione dell' aldilà, eleva il culto del «martirio», flirta con la folle idea della conversione forzata del mondo non islamico e priva le società del talento e dell' energia del cinquanta per cento dei loro membri: la metà femminile. Non occorre guardare più lontano per spiegare l' istupidimento di società come l' Afghanistan, l' Iran, il Sudan, il Pakistan e la Somalia. Il corollario regge con una certa precisione: le società musulmane relativamente aperte e prospere - per esempio l' Indonesia, la Turchia e la Tunisia - sono proprio quelle che limitano la religione. E la linea tra stato fallito e stato «canaglia» diventa sempre più difficile da tracciare, perché quando le società islamiste falliscono è proprio la loro fede a impedire qualsivoglia indagine autocritica. Esaminiamo un aspetto del caso di Ayaan e cerchiamo di capire quanto stia in piedi l' interpretazione «moderata». Una ragione per cui è tanto odiata, e per cui la sua vita è ritenuta in pericolo, è che lei stessa è ciò che il titolo del suo libro proclama con orgoglio: un' apostata. Ayaan ha esercitato il diritto di abbandonare la religione in cui è stata cresciuta. Ma qui si presenta subito un problema. Le hadith musulmane, che insieme al Corano hanno uno status canonico, affermano in modo chiaro che la punizione per l' apostasia è la morte. Per le questioni testuali, imbarazzati revisionisti religiosi a volte si rifugiano nella metafora o nelle varianti della dottrina delle sacre scritture, ma nel presente caso non è disponibile neppure questa tattica ambigua. L' ingiunzione dice quel che dice, niente di più e niente di meno. In altri termini, i «fondamentalisti» hanno la legge religiosa dalla loro. Una volta ho chiesto a Tariq Ramadan che cosa ne pensasse a riguardo e lui ha risposto che l' uccisione degli apostati era «inattuabile». Inattuabile? Visto il numero sempre più alto di ex musulmani, sarà anche così. Ma questo termine moralmente pigro non sembra esprimere alcuna condanna C' è un altro punto di vista che va affermato senza ambiguità: se per migliorarsi i musulmani vogliono emigrare in società aperte e sviluppate, allora sta a loro adattarsi. È il prezzo dell' «inclusione», un prezzo assai ragionevole. La richiesta di un trattamento speciale per gli islamisti, che giunge sino alla censura della stampa laddove essi possano rivendicare l' «offesa» e alla segregazione scolastica per sesso laddove possano invocare la tradizione, è la richiesta di non ampliare la nostra civiltà multiculturale e multietnica, ma piuttosto quella di negarla. Il relativismo non ha il diritto di fare una richiesta tanto esorbitante.
Il testo pubblicato è un ampio stralcio della prefazione scritta da Christopher Hitchens per la nuova edizione tascabile di Infedele (Bur, pagine 392, 9,60), l' autobiografia di Ayaan Hirsi Ali, la scrittrice che ha sceneggiato Submission di Theo van Gogh e denunciato la condizione delle donne musulmane. Nata in Somalia nel 1969, Ayaan oggi vive sotto protezione negli Usa.
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