"Il quattro Santa Barbara beata, il sei San Nicolò che vien per via, il sette Sant'Ambrogio di Milano, e l'otto Concezion Santa Maria; il dodici convien che digiuniamo, il tredici ne vien Santa Lucia, il ventun San Tomè la Chiesa canta, il venticinque abbiam la Festa Santa" (Carloni - 1946).
In questa filastrocca vengono elencati i Santi e le ricorrenze che si festeggiano dal 4 dicembre a Natale.Di queste giornate la più popolare è quella del 13 dicembre, Santa Lucia (appunto "e dè piò curt ch'u si sia" ), ma anche le altre erano importanti per il mondo agricolo di tanti anni or sono per i "segni" che presagivano il futuro dal punto di vista meteorologico ed economico.
Il culto di questa Santa è particolarmente vivo in Romagna soprattutto a Forlì (probabilmente ancora oggi la Fiera più ricca), già se ne trovano le tracce attorno all`anno mille anche se cominciò a diffondersi in modo profondo e ampio, solo nel sedicesimo secolo.
Secondo la tradizione, ancora in uso fino all’inizio della seconda guerra mondiale, i ragazzi regalavano alle belle ragazza un fagotto con un po’ di torrone. Da qui anche l’importanza che riveste il “Re” torrone (assolutamente artigianale.
Ma tutta la Romagna è percorsa da questa festa che porta il nome di Lucia che, secondo le fonti agiografiche era una fanciulla di Siracusa che venne martirizzata nel 304 sotto Diocleziano, a causa della sua professione di fede cristiana. La letteratura evangelica vuole che la giovane, per scansare le insistenti proposte di un nobile, si fosse estirpata gli occhi e glieli avesse inviati in dono come segno di integrità e rifiuto. Questo il motivo principale per cui la Santa è protettrice della vista, ma oltre al detto più godereccio solitamente pronunciato in dialetto “Se Santa Lucia ti mantiene la vista, la fame non ti manca”, forse non tutti sanno che a Santa Lucia è anche legato il tema della luce più in generale. Non dimentichiamo che, nella tradizione rurale e prima della riforma del calendario attuata da Papa Gregorio XIII (1582), il solstizio d’inverno cadeva il 13 dicembre, per cui questo era il giorno più breve dell’anno. Per i contadini apriva la stagione del riposo. È per questo che Santa Lucia veniva salutata con feste solenni. Secondo le credenze popolari, la notte che prepara il 13 dicembre è notte di prodigi, di streghe e di fate. E di previsioni meteorologiche per i successivi mesi dell'anno. Una festa quindi che aveva profondissime radici nella tradizione romana prima e celtica successivamente, così radicate nel popolo, come altre, per cui la Chiesa fu costretta ad “adattare” date importanti del suo calendario per “coprire” definitivamente questi riti ancestrali.
Oggi rimangono soprattutto le Fiere che, come nel passato, in questo giorno sono organizzate nei principali paesi della Romagna. Allora rappresentavano veri e propri momenti di festa e d’incontro in un mondo molto diverso da ora, dove vedersi (e rivedersi) non era frequente e parecchie persone si accollavano viaggi anche di ore a piedi dalle campagne o dalle zone appenniniche per raggiungere il paese e partecipare ad rito che significava, in fondo, appartenenza a tradizioni e ad un sentire comune.
Fiere che legavano la ritualità della festa religiosa al commercio. Dai primi del 1800 le piazze cittadine si animano di mercanti, di compagnie teatrali girovaghe, saltimbanchi giocolieri, burattinai, cantastorie, poeti estemporanei, venditori di loverie e giochi.
Tante volte c’era già la neve, a differenza di oggi, ma il centro si riempiva di vita. Una singolare usanza era quella delle contrattazioni che terminavano con una stretta di mano tra compratore, venditore e mediatore e con una “colazione” in osteria a base di trippa, piada e Sangiovese. Le osterie erano a quei tempi numerose (individuate anche per mestieri e status) e le persone, avendo camminato per ore prima di raggiungere il paese, occupavano i grandi tavoli sia per consumare i “mangiari” (come si diceva un tempo) dell’osteria o solo per accompagnare con il vino (sempre “nero” naturalmente) il cibo che si erano portati da casa (l’osteria vera infatti nasce in primis per la mescita del vino).
Ma quali erano i “mangiari” di questo giorno? Nelle osterie si trovavano zuppe a base di verdura, ceci o fagioli, la piadina fritta o cotta nello strutto con la pancetta cotta nelle grandi graticole poste sugli enormi camini che si trovavano all’interno. I formaggi erano ricotta o reviggiolo e il maiale la faceva da padrone con la gota (un salume particolare ottenuto con la guancia del maiale), i ciccioli, il cotechino, la salciccia matta, le costole, la coppa ed altro ancora.
Non per niente inizia in questo periodo "la Masadura dè porc", la preparazione di carni di maiale.
I dolci proposti erano il castagnaccio, il sanguinaccio (che anche io ho sempre trovato buonissimo anche se oggi quando parli di questo dolce fatto con sangue di maiale molti inorridiscono), le caldarroste e naturalmente… il buonissimo torrone artigianale.
Era questa una giornata di festa, di incontri, di affari, di qualche spesa e, per buona parte della popolazione della nostra terra, uno dei rari momenti in cui si cercava di non pensare alle difficoltà che la vita imponeva loro.
Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato sul Sabato Sera Bassa Romagna del 8 dicembre 2007 e su Civiltà dell Tavola (Accademia Italiana della Cucina) del dicembre 2008
In questa filastrocca vengono elencati i Santi e le ricorrenze che si festeggiano dal 4 dicembre a Natale.Di queste giornate la più popolare è quella del 13 dicembre, Santa Lucia (appunto "e dè piò curt ch'u si sia" ), ma anche le altre erano importanti per il mondo agricolo di tanti anni or sono per i "segni" che presagivano il futuro dal punto di vista meteorologico ed economico.
Il culto di questa Santa è particolarmente vivo in Romagna soprattutto a Forlì (probabilmente ancora oggi la Fiera più ricca), già se ne trovano le tracce attorno all`anno mille anche se cominciò a diffondersi in modo profondo e ampio, solo nel sedicesimo secolo.
Secondo la tradizione, ancora in uso fino all’inizio della seconda guerra mondiale, i ragazzi regalavano alle belle ragazza un fagotto con un po’ di torrone. Da qui anche l’importanza che riveste il “Re” torrone (assolutamente artigianale.
Ma tutta la Romagna è percorsa da questa festa che porta il nome di Lucia che, secondo le fonti agiografiche era una fanciulla di Siracusa che venne martirizzata nel 304 sotto Diocleziano, a causa della sua professione di fede cristiana. La letteratura evangelica vuole che la giovane, per scansare le insistenti proposte di un nobile, si fosse estirpata gli occhi e glieli avesse inviati in dono come segno di integrità e rifiuto. Questo il motivo principale per cui la Santa è protettrice della vista, ma oltre al detto più godereccio solitamente pronunciato in dialetto “Se Santa Lucia ti mantiene la vista, la fame non ti manca”, forse non tutti sanno che a Santa Lucia è anche legato il tema della luce più in generale. Non dimentichiamo che, nella tradizione rurale e prima della riforma del calendario attuata da Papa Gregorio XIII (1582), il solstizio d’inverno cadeva il 13 dicembre, per cui questo era il giorno più breve dell’anno. Per i contadini apriva la stagione del riposo. È per questo che Santa Lucia veniva salutata con feste solenni. Secondo le credenze popolari, la notte che prepara il 13 dicembre è notte di prodigi, di streghe e di fate. E di previsioni meteorologiche per i successivi mesi dell'anno. Una festa quindi che aveva profondissime radici nella tradizione romana prima e celtica successivamente, così radicate nel popolo, come altre, per cui la Chiesa fu costretta ad “adattare” date importanti del suo calendario per “coprire” definitivamente questi riti ancestrali.
Oggi rimangono soprattutto le Fiere che, come nel passato, in questo giorno sono organizzate nei principali paesi della Romagna. Allora rappresentavano veri e propri momenti di festa e d’incontro in un mondo molto diverso da ora, dove vedersi (e rivedersi) non era frequente e parecchie persone si accollavano viaggi anche di ore a piedi dalle campagne o dalle zone appenniniche per raggiungere il paese e partecipare ad rito che significava, in fondo, appartenenza a tradizioni e ad un sentire comune.
Fiere che legavano la ritualità della festa religiosa al commercio. Dai primi del 1800 le piazze cittadine si animano di mercanti, di compagnie teatrali girovaghe, saltimbanchi giocolieri, burattinai, cantastorie, poeti estemporanei, venditori di loverie e giochi.
Tante volte c’era già la neve, a differenza di oggi, ma il centro si riempiva di vita. Una singolare usanza era quella delle contrattazioni che terminavano con una stretta di mano tra compratore, venditore e mediatore e con una “colazione” in osteria a base di trippa, piada e Sangiovese. Le osterie erano a quei tempi numerose (individuate anche per mestieri e status) e le persone, avendo camminato per ore prima di raggiungere il paese, occupavano i grandi tavoli sia per consumare i “mangiari” (come si diceva un tempo) dell’osteria o solo per accompagnare con il vino (sempre “nero” naturalmente) il cibo che si erano portati da casa (l’osteria vera infatti nasce in primis per la mescita del vino).
Ma quali erano i “mangiari” di questo giorno? Nelle osterie si trovavano zuppe a base di verdura, ceci o fagioli, la piadina fritta o cotta nello strutto con la pancetta cotta nelle grandi graticole poste sugli enormi camini che si trovavano all’interno. I formaggi erano ricotta o reviggiolo e il maiale la faceva da padrone con la gota (un salume particolare ottenuto con la guancia del maiale), i ciccioli, il cotechino, la salciccia matta, le costole, la coppa ed altro ancora.
Non per niente inizia in questo periodo "la Masadura dè porc", la preparazione di carni di maiale.
I dolci proposti erano il castagnaccio, il sanguinaccio (che anche io ho sempre trovato buonissimo anche se oggi quando parli di questo dolce fatto con sangue di maiale molti inorridiscono), le caldarroste e naturalmente… il buonissimo torrone artigianale.
Era questa una giornata di festa, di incontri, di affari, di qualche spesa e, per buona parte della popolazione della nostra terra, uno dei rari momenti in cui si cercava di non pensare alle difficoltà che la vita imponeva loro.
Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato sul Sabato Sera Bassa Romagna del 8 dicembre 2007 e su Civiltà dell Tavola (Accademia Italiana della Cucina) del dicembre 2008
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