mercoledì 21 novembre 2007

Perchè il pianeta si sta esaurendo

(la Repubblica, 16 NOVEMBRE 2007)
FEDERICO RAMPINI
Come ripensare il futuro a partire da terra, acqua, aria
La desertificazione l´inquinamento, il clima impazzito ecco dove andiamo
Cresce in misura enorme nel mondo il fabbisogno di energia
Bomba demografica o più brutalmente "pericolo giallo", se ne parlava all´epoca di Mao, eppure i cinesi erano meno della metà e tutto quel che chiedevano era una ciotola di riso al giorno. Allora il vero limite allo sviluppo erano i drammatici errori dei governi, la mancanza di capitali, di tecnologie, degli incentivi giusti. Oggi l´unico limite serio è un altro: l´esaurimento delle risorse naturali.

Nel 1950 la Cina creava appena l´un per cento delle emissioni mondiali di CO2. Era come se non esistesse. Quest´anno ha superato gli Stati Uniti, è diventata la più grossa produttrice di anidride carbonica rilasciata nell´atmosfera terrestre. E nei prossimi sette anni le nuove centrali termoelettriche che la Cina metterà in funzione saranno superiori a tutte quelle esistenti nell´Unione europea. Ogni contadino cinese che abbandona l´agricoltura e si trasferisce in città a lavorare come operaio in fabbrica o come muratore nei cantieri edili, in media aumenta del 700 per cento il suo consumo complessivo di risorse naturali. Ogni anno in media sono 15 milioni i cinesi che lasciano le campagne, attirati dalle metropoli industriali o espulsi da un´agricoltura troppo povera per mantenerli. Chongqing ha 30 milioni di abitanti, Pechino e Shanghai si avvicinano ai 20 milioni ciascuna, varie altre città come Canton, Shenzhen, Hong Kong, Hangzhou, Tianjin, Chengdu, Nanchino, avvicinano o superano la soglia dei 10 milioni. Le città "medie" come Xian, Harbin, Dalian, oltre i cinque milioni di abitanti - una dimensione che Roma e Milano non raggiungeranno mai - saranno presto un centinaio. La metà di tutte le nuove strade e di tutti gli insediamenti urbani della Cina sono sorti dall´inizio di questo decennio.

Lo sviluppo cinese si accompagna a un fenomeno di urbanizzazione che per la sua scala dimensionale e per la sua rapidità non ha precedenti nella storia umana. Fra un ventennio i cinesi avranno 270 milioni di automobili e il loro consumo di energia sarà più che raddoppiato. In India le aree metropolitane di New Delhi e Mumbai hanno trenta milioni di abitanti ciascuna: sommate insieme superano la popolazione di tutta l´Italia. La domanda di energia dell´India (un miliardo e cento milioni di abitanti), sarà più che raddoppiata entro il 2030, e la maggior parte di quel fabbisogno aggiuntivo dovrà essere importato.

Queste previsioni, agitate senza tregua nell´opinione pubblica occidentale, ci fanno dire che "non c´è più posto sul pianeta". La questione delle risorse naturali balza al primo posto tra le nostre preoccupazioni. Si torna a parlare di penuria di petrolio. Trent´anni fa l´energia ci venne negata da un conflitto geopolitico (l´embargo dell´Opec dopo la guerra arabo-israeliana del Kippur), oggi cominciamo a temere che sarà la voracità delle nuove classi medie cinesi e indiane a prosciugare i pozzi del Golfo Persico.

Petrolio e gas non sono le sole risorse minacciate di esaurimento. Abituati da qualche generazione a vivere in un´economia urbana, lontana dall´agricoltura, trascuriamo la scarsità delle terre coltivabili. Abituati a vederla scorrere quasi gratis - e pulita - dai nostri rubinetti, dimentichiamo che nel mondo intero l´acqua è preziosa, rara, e in diminuzione. La terra e l´acqua sono fonti di potenziali conflitti almeno quanto il greggio. La Cina ha solo l´8 per cento delle riserve di acqua potabile del pianeta, ma deve mantenere in vita il 22 per cento della popolazione mondiale. Il 58 per cento dei fiumi cinesi è tossico. Forti squilibri e disparità regionali ci sono anche all´interno della Cina: la sua parte settentrionale, che tradizionalmente è stata il "granaio" nazionale con il 60 per cento di tutta la terra coltivabile, ha solo il 14 per cento delle risorse idriche del paese, il che costringe il governo di Pechino a progettare titaniche opere di dirottamento di fiumi dal sud al nord. La situazione peggiora con la desertificazione che avanza. La Cina sta soffrendo la più grande trasformazione di terre fertili in deserto che sia mai avvenuta nella storia umana. I grandi fiumi che irrigano l´India soffrono per lo scioglimento dei ghiacciai dell´Himalaya. La mancanza di acqua apre scenari inquietanti per gli approvvigionamenti alimentari. Già oggi la superficie agricola disponibile per produrre cereali è ridotta: 650 metri quadri per abitante in India, 600 in Cina, contro 1.900 negli Stati Uniti.

Per effetto del semplice aumento della popolazione - senza contare l´ulteriore perdita di terreni arabili per effetto dell´urbanizzazione - tra meno di vent´anni questa superficie agricola sarà scesa a 530 metri quadri pro capite in Cina e 520 in India, con possibili ripercussioni sui livelli dei prezzi, la stabilità sociale, le tensioni geopolitiche con il resto del mondo. Storicamente le situazioni di insicurezza alimentare sono state, insieme con le crisi da insicurezza energetica, spesso associate all´esplosione di conflitti militari.

Non è detto che questi conflitti debbano esplodere entro i confini di Cindia. Questi due giganti, grazie alla loro nuova ricchezza, possono scaricare su altri i loro problemi alimentari. La Cina, fabbrica del pianeta e formidabile esportatrice di manufatti, potrà acquistare quote crescenti del suo fabbisogno alimentare. Approvvigionarsi di alimenti sui mercati mondiali equivale a comprare acqua: ogni chilogrammo di cereali che Pechino importa dall´estero ha richiesto un metro cubo di acqua per essere coltivato. Anche l´India, grazie a una crescita fondata sulla "materia grigia", potrà vendere software informatico in cambio di derrate agricole. Ma in questo modo il problema della penuria d´acqua si sposta semplicemente da qualche altra parte. L´aumento dei consumi alimentari asiatici già sta creando tensioni sui prezzi: l´inflazione dei prezzi alimentari in Cina ha raggiunto + 17,6 per cento. Questi rincari, se protratti a lungo, possono mettere a repentaglio la pace sociale perfino in un colosso industriale come la Repubblica popolare. L´impatto sarà ancora più destabilizzante se l´inflazione alimentare provocata da Cindia dilaga in paesi del Terzo mondo con un potere d´acquisto molto più basso. Una simile spirale perversa già si vede all´opera per il boom dei biocarburanti, incentivato dalla ricerca di fonti di energia alternative. Bioetanolo e biodiesel contendono le terre coltivabili all´alimentazione umana o animale, i prezzi del pane e della pasta registrano questa inedita concorrenza con i serbatoi delle automobili.

Lo spettro delle penurie rischia di farci dimenticare le enormi iniquità che tuttora caratterizzano il consumo di risorse naturali. La definizione classica della sostenibilità ambientale recita così: è sostenibile uno sviluppo economico che può soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le possibilità che anche le generazioni future soddisfino i loro. Sembra chiaro.

Ma chi stabilisce i bisogni del presente? Il petrolio di cui il consumatore italiano ha deciso di avere "bisogno" è tuttora il triplo di quello consumato da un cinese. La sostenibilità non si misura solo in verticale, nella solidarietà fra noi e le generazioni future. Deve declinarsi anche in orizzontale, in una ripartizione equa fra le generazioni attuali. Essere nati in India o in Cina vuol dire avere diritto a una coperta più stretta, dover razionare i consumi molto prima di avere raggiunto un modesto benessere? La scarsità delle risorse è relativa. Per un indiano emigrato a Londra, l´acqua sembra un bene illimitato e a buon mercato: farsi un bagno schiuma tutte le sere lascia una traccia quasi invisibile sulla bolletta mensile. Per il suo lontano cugino rimasto in un villaggio del Bengala il camion cisterna dell´acqua potabile passa una volta al giorno, e c´è una lunga coda di gente che lo aspetta.

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